Vivere in provincia: cosa vuol dire? Abbiamo provato a individuare 10 caratteristiche che raccontano la vita in paese o in una piccola città.
Croce e delizia, la provincia a molti sta stretta, per altri è un luogo ideale. Alcuni vorrebbero trasferirvisi, stanchi della grande città. Altri ci sono nati e non vorrebbero mai andarsene. Forse perché non conoscono alternative, forse perché ci stanno bene davvero. Qualcuno non ci tornerebbe neppure sotto tortura. Altri – e sono i più numerosi – vanno via in cerca di occasioni e di tanto in tanto, quando il vento gli riporta un odore noto o una musica lontana, ne sentono la mancanza. Così aspettano le vacanze e organizzano un viaggio al paese, che sia quello della propria infanzia oppure un altro che ne ricordi le atmosfere.

Le atmosfere di paese sono la combinazione di più fattori (che qui analizzeremo) e di un afflato evanescente che sfugge a ogni classificazione. Come un ingrediente misterioso che rende unico e irripetibile un piatto benché la ricetta di fondo sia nota a tutti.
Ciò che sappiamo della provincia viene dalla nostra esperienza diretta, ma anche da numerosissime letture a tema. Nella sezione Letteratura e Cinema ci dilettiamo infatti ad analizzare romanzi e film ambientati in provincia. In tutti abbiamo riscontrato molte delle caratteristiche tipiche del vivere in provincia. Ormai siamo degli esperti.
Vivere in provincia: le 10 caratteristiche fondamentali
Prima di stilare la nostra lista sulle 10 caratteristiche che contraddistinguono la vita in provincia, occorrono alcune precisazioni.
Non vogliamo esprimere giudizi. Non vogliamo dirvi: vivere in paese è più bello oppure fuggite, fuggite non appena possibile. La nostra è un’analisi semi-seria, ma imparziale. Su questo aspetto abbiamo trovato illuminante un bell’articolo di Riccardo Conte su Vanity Fair Le gioie e i dolori della provincia.
Siamo soliti confrontare il paese e la città sulla base di opposizioni nette e facili: piccolo vs grande, lento vs veloce, antico vs moderno, tranquillo vs caotico, povero vs ricco. Si tratta di semplificazioni che appiattiscono le sfumature intermedie e non danno dimostrazione della complessità del reale, lo sappiamo.
Allo stesso modo anche le 10 caratteristiche che elencheremo di seguito sono il frutto di una consapevole generalizzazione. Nascono da luoghi comuni perché crediamo che i luoghi comuni abbiano un fondo di verità e perciò li difendiamo.
Se nella realtà esistono migliaia di paesi di provincia differenti, qui proveremo a individuare i tratti che potrebbero accomunarli tutti e in cui, se siete provinciali come noi potreste riconoscervi.
Siete pronti? Inizia qui il nostro meraviglioso viaggio nel pianeta provincia.
1. Il posizionamento: a chi appartieni?
Posizionare qualcuno significa collocarlo. Vivere in provincia implica occupare una precisa posizione all’interno di una rete. Rete di famiglie, di amici, di coetanei, di colleghi (in quest’ordine). Il posizionamento è il concetto cardine della provincia e in generale delle comunità più piccole. Il concetto è bene rappresentato dalla domanda che, dalle nostre parti, suona più o meno così: “A chi appartieni?”
La collocazione familiare si traduce anche spazialmente: è facile in una comunità circoscritta individuare le case, le proprietà e in generale gli spazi di pertinenza di ciascuno. È molto frequente che due ragazzi non si conoscano personalmente ma che sappiano collocarsi l’un l’altro nelle rispettive famiglie, nelle scuole frequentate, nelle reciproche comitive di amici. Cenni della storia di ciascuno sono più o meno noti a tutti. E questo – strano ma vero – qualche volta può essere anche rassicurante.
Un tempo il posizionamento produceva gerarchie sociali evidenti. Steccati invalicabili. Oggi la scala sociale (apparentemente) è meno ripida. Ma in ogni piccola comunità è ancora possibile individuare le famiglie notabili (in alto), quelle perbene (un gradino più sotto), quelle semplicemente oneste, quelle sanza infamia e sanza lode e quelle decisamente oscure. Nessuno però suscita diffidenza quanto qualcuno che non si possa collocare in alcuna famiglia della zona (saltate al punto 6 per saperne di più).
Venuto meno, ormai, il criterio della nobiltà, un fascino particolare esercitano oggi dottori, avvocati e notai. Forse perché hanno in pugno salute ed eredità (due temi che infarciscono spesso e volentieri le conversazioni di provincia). Attorno a queste figure è facile che si crei un atteggiamento di ossequioso rispetto. Di qui al clientelismo e alla gratitudine coatta è un passo.
2. La reputazione
La reputazione scaturisce solo in parte dal posizionamento: è l’insieme di ciò che si dice o si sa di qualcuno. L’appartenenza a un clan familiare o a una comitiva di amici può condizionarla, ma in buona parte è frutto della propria storia personale. O meglio di ciò che la comunità pensa di sapere di te e della tua storia. Molto spesso si tratta di una conoscenza superficiale che si nutre di voci e sentito dire. In certi casi è lusinghiera (un buon partito, un bravo ragazzo), in altri malevola (un buono a nulla, un viziato).
Si può condensare in soprannomi (in uso perlopiù fra gli anziani ed ereditari) o in semplici etichette (più moderne, non ereditabili). Sintesi reputazionali, chiamiamole così: Gianna, la secchiona. Lucio, il bomber. Marco, il becco.
Le etichette si appiccicano a vita, è difficile tornare vergini.
La stima sociale in provincia è amplificata perché non ci sono molti termini di confronto. Chi è ricco o importante si sente molto ricco e molto importante. Chi è povero e poco influente si sente molto povero e del tutto disprezzabile. Le stesse persone trasportate in un contesto più ampio (in una grande città, non necessariamente una metropoli), finiscono per ridimensionare di gran lunga (nel bene e nel male) la considerazione che hanno di sé. E si stupiscono di non essere riconosciuti dagli altri come notabili o come miserevoli. Si stupiscono di non essere riconosciuti.
Perdere la propria etichetta sociale è al contempo liberatorio e disorientante. Lo sanno bene quanti si sono trasferiti in un’altra città per ragioni di studio o di lavoro.
Siete d’accordo?
3. Le feste e le sagre
Consideriamo ora le occasioni di convivialità. La provincia si riconosceva nelle sue feste patronali o nelle sagre dedicate ai prodotti tipici. Odore di noccioline e zucchero filato dalle bancarelle degli ambulanti. Momenti di condivisione caratterizzati da fiere, giostre spericolate, concerti in piazza e processioni. Una mescolanza colorata di sacro e profano a cui presenziano le autorità. Il sindaco con la fascia tricolore in primis e dietro di lui qualche politico incravattato.
Un tempo alla festa del Santo ci si vestiva bene. La vera provincia si distingueva dal vestito buono sfoggiato nell’occasione giusta. E la domenica e la festa patronale lo erano. Momenti in cui si guardava e ci si faceva guardare.
Oggi per non sentirsi troppo provinciali, i provinciali snobbano la festa del santo, ostentano disinteresse, si vestono volutamente peggio del solito. Un po’ come chi disprezza San Remo per sentirsi alla moda, benché sia una moda passata da un pezzo.
Nelle grandi città, infatti, impazza adesso la passione per tutto ciò che è folklore, spirito local, borgo autentico. E quindi viva le luminarie e viva i fuochi d’artificio: un tempo distintivo delle piccole comunità, oggi carta vincente di un turismo che cerca proprio il paesello fiorito per una fuga romantica.

4. Le vasche: no, non dobbiamo fare il bagno
Le vasche non sono piscine. E nemmeno fontane (anche se i fontanini di ghisa costituiscono certo un elemento interessante del paesaggio di provincia). In un piccolo paese quando si esce per una passeggiata, gli spazi sono ristretti. Non c’è molta scelta. Spesso capita di passeggiare su e giù lungo la strada principale (il corso, la passeggiata, lo stradone… i nomi sono tanti) oppure in villa o in piazza. Queste sono le vasche.
Fare le vasche significa incontrare altra gente, incrociare i loro sguardi, scambiare qualche saluto, chiacchierare per un po’. Le soste sono importanti almeno quanto il passeggio. Il corso ha spesso delle coordinate generazionali precise. Facciamo degli esempi: le famiglie con bambini occupano una porzione di strada, gli anziani un’altra, i ragazzi un’altra ancora. Pur in presenza di spazi limitati, si formano dei perimetri generazionali naturali.
5. I luoghi simbolici
La provincia ha molti simboli. Prima di tutto c’è il campanile della chiesa madre da cui scaturisce il concetto stesso di campanilismo. Molti anni fa le campane scandivano la vita del paese, oggi accade di meno. Il loro suono tuttavia sopravvive ed è confortante.
Altrettanto importante è la piazza (che può essere anche un parco oppure la villa comunale con le aiuole) a cui fanno da corredo le panchine e i lampioni. Luogo di ritrovo, ma soprattutto di sosta. Qui gli anziani leggono il giornale, commentano vivacemente le ultime notizie, giocano a carte. Briscola, tresette, scopa. I bambini nel pomeriggio cercano, se ci sono, le giostrine. Piazza, panchine e lampioni sono secondo noi la fotografia stessa della provincia
Luoghi romantici per le coppiette: un belvedere, il lungomare o il lungolago, i vicoli del centro storico. E la camporella dove appartarsi. Ogni paese ne ha una ed è solitamente molto affollata.
I negozi storici: l’antica panetteria, il fruttivendolo, il macellaio che sta lì da sempre, l’osteria, un vecchio bar, la bottega del salumiere: qui si può fare la spesa passando da un negozietto all’altro, come in una staffetta. Bisogna dire tuttavia che questi posti esercitano il loro fascino soprattutto sui turisti che ne fotografano le insegne tradizionali. Mentre gli abitanti del luogo preferiscono cercare svago nei centri commerciali che nei tardi anni Novanta sono spuntati come funghi in periferia, sulle tangenziali e le complanari.
I luoghi sono anche identificativi dei gruppi che li frequentano. Sono parte della storia di ciascuno.

6. I forestieri
Nei luoghi non turistici i forestieri vengono guardati con curiosità e diffidenza. Nei luoghi turistici, invece, i forestieri sono presenze abituali, purché di passaggio. Non suscitano curiosità finché si limitano a scattare foto, comprare prodotti, assaggiare la cucina locale e andarsene via. A volte sono polli da spennare, altre sporcaccioni chiassosi che lasciano tutt’intorno il segno delle loro gite.
Se però il forestiero non è un turista, ma decide di stabilirsi in paese in pianta stabile, scatta un atteggiamento di circospezione. Non è incapacità di accoglienza, quanto piuttosto impossibilità di posizionare il forestiero in una famiglia e in una storia nota (si veda il punto 1). Per superare la diffidenza bisognerà attendere che il forestiero in qualche modo si collochi nella comunità, che costruisca una sua storia in paese. Resterà però per sempre “il torinese” “la francese” “il marchigiano” anche dopo trent’anni di permanenza: avrà guadagnato la sua etichetta. Che è come dire: “ora sei uno di noi a tutti gli effetti”.
7. Si stava meglio quando si stava peggio
La provincia è conservatrice. Vivere in provincia significa spesso votarsi alla nostalgia del tempo che fu. Perciò ogni cambiamento viene salutato con amarezza. In certi casi, a giusta ragione. Spesso la modernità scriteriata ha prodotto cemento e desolazione dove un tempo sorgevano paesaggi incantevoli o edifici storici. Altre volte lo scetticismo è immotivato e incapace di cogliere rapidamente vantaggi e miglioramenti.
La frase che meglio sintetizza questo atteggiamento è: “Si stava meglio quando non c’era…” da completare all’occorrenza (… la raccolta differenziata, i B&B, lo stadio nuovo, le candele a cera, il tubo catodico, i telefonini…). Anche se poi nessuno rinuncerebbe davvero a nulla per tornare al passato delle lampade a olio e dei vasi da notte sotto il letto.
Treni e altri accidenti
La provincia è storia di pendolarismo precoce. Lontananza dal centro, dalle occasioni, dai servizi. Si viaggia per andare a scuola. Si viaggia per andare al lavoro. Si viaggia per fare spese importanti. Presto il treno (o l’autobus ) diventa parte della routine di ciascuno. Dei ragazzi che non hanno ancora la patente, degli adulti che non vogliono sacrificare lo stipendio in benzina o la tranquillità nel traffico delle strade statali. Presto, si impara a fare i conti con il ritardo cronico di questi mezzi. Come se la provincia italiana avesse nel suo DNA un cumulo di ritardi irrecuperabili.
I mezzi frequentati dai pendolari sono micro-mondi in cui pian piano ci si riconosce tutti. Giungle in cui si impara a sgomitare per un posto o anche solo per non farsi schiacciare dagli altri. Assomigliano solo parzialmente agli autobus cittadini dove, a parità di sovraffollamento, non ci si conosce e la varietà umana è sottoposta a continuo ricambio.
9. La moda: ma quando arriva?
In città è difficile intercettare a colpo d’occhio una moda, perché ce ne sono tante, si mescolano e si confondono. In provincia è molto più facile. I loghi delle griffe in bella vista possono essere usati come precisi calendari. Ci saranno per esempio gli anni di Alviero Martini con le sue carte geografiche, quelli di Calvin Klein, quelli D&G anche in versione tarocco, quelli degli zainetti Kipling col gorilla oscillante tono su tono, quelli del quadrettato giallo di Burberry sulle cinture, i colletti delle camicie, le borse.
Ai provinciali piace sentirsi alla moda, naturalmente. Ma le tendenze arrivano con qualche anno di ritardo rispetto alle grandi città, benché nessuno se ne accorga.
10. La cultura: Premio città di …
I provinciali la cultura la prendono sul serio. Curano le proprie radici, il dialetto, la storia locale, la memoria degli intellettuali che hanno lasciato un’impronta per quanto piccola e poco nota fuori dai circuiti del paese.
In provincia si legge? Dipende, qui la situazione varia molto da paese a paese. Noi pensiamo che si legga, nonostante tutto. Che si legga anche se è difficile. Perché la Biblioteca Comunale è spesso un luogo monumentale e non sempre accessibile. Sede di un sapere polveroso ed esclusivo. E le librerie non hanno vita facile, anzi a volte non ci sono proprio sostituite dal giornalaio che è anche all’occorrenza libraio e cartolaio. Per completare gli studi è necessario spostarsi altrove.
Però esistono miriadi e miriadi di premi letterari che si fregiano del titolo di internazionali in onore di altrettante oscure cittadine di provincia. E sono occasioni di sussiegoso scambio di vanagloria fra giudici e concorrenti. Avete mai sentito di un Premio città di Milano? Oppure Premio città di Roma? No, certo. In compenso ogni piccolo paese che si rispetti prima o poi ne organizza uno.
Molte e vivaci però sono le manifestazioni e gli eventi che servono a dare spazio ad artisti, musicisti o scrittori locali. Il folklore anche in questo caso ha un ruolo da protagonista.
Conclusioni mon amour
L’atmosfera di provincia è un affare serio e difficile da spiegare. È l’ingrediente misterioso che definisce il cuore della vita di paese. Può essere una traccia di nostalgia, un pizzico di verace buonumore, una chiacchierata a mezza voce rimasta sospesa nell’aria. Vibra nelle storie di fantasmi, nelle ricette che si tramandano da generazioni, nei modi di dire, negli scuri di una persiana scolorita.
Vi abbiamo elencato le 10 caratteristiche fondamentali del vivere in provincia. Ciò che non bisogna dimenticare, mettendo da parte un po’ di retorica, è che però ci sono province e province. Paesi e paesi. Borghi vitalissimi e proiettati verso il futuro e borghi ancora privi di servizi di prima necessità.
Vivere in provincia non è facile per chi è abituato alla varietà e alla vastità delle metropoli. Ma vi sono innegabili vantaggi: uno stile di vita più salutare, ritmi umani, un minore costo della vita e la sensazione di essere parte di una comunità che non ti abbandona. Noi per esempio, ci stiamo bene e non sentiamo il bisogno di cambiare. Se invece voi siete un po’ stanchi leggete pure i nostri 10 consigli per sopravvivere alla vita di paese!
Che ne pensate?
