“Un tempo gentile” della scrittrice sarda Milena Agus è un romanzo dolceamaro. Un romanzo che fa bene al cuore come tutte le buone letture. Ci trasporta nel Campidano, in una Sardegna interna e abbruttita. La storia si svolge, infatti, in un paesino che non ha più nulla. Non ci sono i giovani, emigrati a caccia di fortuna e mai più tornati. Non c’è un parroco. Non c’è un sindaco. E non c’è neppure la bellezza dei borghi spopolati in cui le antiche pietre conservano il fascino del tempo andato. C’è solo il grigiore della modernità che ha snaturato le tradizioni senza portare ricchezza. Non potevamo non dedicargli una recensione.
In un tempo immobile e pigro arriva però una ventata di aria nuova: gli invasori. Un gruppo di migranti assegnati provvisoriamente al paesino per una prima accoglienza e i volontari che li accompagnano. Il paesino si risveglia d’improvviso. Fra ostilità, diffidenza reciproca, curiosità, tentativi pasticciati di accoglienza, e infine mescolanza. Arriva nel paese il tempo gentile. E torna la vita nel Rudere che accoglierà i migranti e che dopo molti anni verrà rimesso a nuovo. Ma torna la vita anche fra i campi, negli orti, in chiesa, nelle case. L’invasione spalancherà molte porte e intreccerà nuove storie.
Questo romanzo ci è piaciuto molto perché racconta la provincia contemporanea senza stereotipi e senza retorica eppure con tanta poesia. Ci presenta un paesello imbruttito dall’eternit e dalle biomasse, infiacchito dal pregiudizio e dalla pigrizia ma capace di mettersi in discussione. Di aprirsi al bisogno di bellezza e di orizzonti più ampi. Così che dall’entroterra sardo ci sentiamo improvvisamente catapultati nel mondo. Dalla cura meticolosa di guardaroba e stoviglie all’esercizio senza freni della gentilezza.
Vi abbiamo incuriosito? Continuate a leggere.
Scheda
Titolo: Un tempo gentile
Autore: Milena Agus
Casa Editrice: Nottetempo
Collana: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2020
Pagine: 204
Prezzo: 16,00 £
Un tempo gentile – Milena Agus: la recensione

I personaggi del romanzo
I personaggi ci vengono incontro nella prima pagina in un elenco che ricorda quello dei copioni a teatro. Sono divisi in due blocchi. I paesani e gli invasori. Due semicori a testa: le paesane e i paesani da un lato e le nere e i neri dall’altro. E poi i personaggi singoli, spesso caratterizzati da un soprannome: Pidocchio, l’Ingegnere, il Professore, l’Evangelista, la Devota. Nessuno di loro è una macchietta. Tutti hanno una personalità definita e un grappolo di sogni interrotti. Ferite profonde che si nascondono nei non-detti o, al contrario, negli sproloqui. Oscillano fra slanci di generosità e ostilità dure che non si possono smussare. Che si devono accettare come parte della fragilità che caratterizza gli uomini di qualunque colore siano.
Accanto alla divisione fra paesani e invasori per tutto il romanzo corre una seconda suddivisione forte. Da un lato ci sono le donne – le nere, le paesane, le volontarie e le Dame – dall’altro gli uomini. Due mondi diversi: spontanee e generose le prime, diffidenti e musoni i secondi. Due modi diversi di affrontare la sfida dell’incontro con l’altro. Due linguaggi che si incontrano per un attimo breve, nel tempo gentile della coabitazione.
L’autrice ci fa partecipi delle storie di ciascuno. E noi davvero ci siamo sentiti parte di un universo variopinto e difficile. Ci siamo lasciati trasportare dai dialoghi che sfiorano, nella leggerezza di una chiacchierata, temi complessi come la sofferenza, la fede, le aspirazioni deluse e gli orrori della migrazione. Con la grazia di una poesia a minore, quotidiana. Eppure non c’è nulla di edulcorato nello sviluppo della vicenda. E l’amore che l’autrice prova verso i personaggi e per i luoghi non ne nasconde i limiti, gli spigoli, le rotture che non si possono sanare.
I luoghi del romanzo
Un tempo gentile di Milena Agus si svolge in una frazione senza nome del Campidano. In un paese invecchiato male, dato in pasto alla modernità dei blocchi di cemento e delle biomasse. Lontano anni luce dall’Europa, quella vera, che i migranti sognano e per la quale hanno rischiato la vita sul Mediterraneo. Le case non hanno nulla di pittoresco, ma mostrano i segni del tempo che le logora, che ne fa marcire le tubature e gli esterni. E nessuno le sistema. C’è in giro una colpevole sonnolenza, una sorta di assuefazione al brutto.
L’arrivo degli invasori rappresenta una scossa anche per i luoghi. Il gruppo inizia ad abitare il Rudere, un’antica struttura che la comunità aveva lasciato in abbandono. Pian piano il casolare si riempie di colori, di voci e di profumi. E diviene un polo magnetico, capace di esercitare irresistibile attrazione sulle donne più spigliate e aperte del paese. E in un secondo momento sui loro mariti, sulle madri e le suocere. Se fino ad allora il paese era stato votato alla monocoltura (per altro poco redditizia) dei carciofi, finalmente si sentirà il bisogno di riprendere a coltivare gli orti con ortaggi e verdure miste. E si proverà a dare una nuova vita anche alle case con piccole riparazioni e un ritorno alla bellezza.
Altro luogo degno di nota è la Casa delle Dame, le notabili del paese. Così come il Rudere, rappresenta uno spazio destinato all’incontro fra culture, classi sociali, storie di vita. Il Rudere e la Casa delle Dame si trasformano da luoghi di solitudine e di abbandono a luoghi di accoglienza. Luoghi dove tutto è possibile. Anche una mezza felicità: piena di difetti, provvisoria, incapace di curare le ferite e la meschinità di molti ma comunque consolante.
La struttura e lo stile
Il romanzo di divide in 20 brevi capitoli dotati di titoletti. Ha una struttura ad anello e un finale su cui vorremmo dirvi tante cose ma non possiamo fare spoiler.

La voce narrante è una donna senza nome, è parte di un noi coinvolgente che partecipa alla storia dal di dentro. E guarda agli invasori dapprima con paura, poi con curiosità, infine con la tenerezza di un coro di madri prodighe di attenzioni e di accudimento. Il ritmo è un crescendo. Incalzante quando descrive con brevi tocchi la provincia desolata e quando racconta le storie di ciascuno. Quando intreccia dialoghi e quando spinge avanti la narrazione. È come un movimento incessante, operoso. Il tempo gentile è una marcia svelta. Passa veloce come il fraseggio, come i versi di una poesia breve o di una canzone.
La penna di Milena Agus è piena di grazia. E mescola filosofia e poesia, il dialetto sardo delle sue antenate all’italiano più pulito. La sua è una scrittura ricca che non conosce la sciatteria di tanta prosa moderna. Arriva dentro al cuore con la precisione di una freccia e senza bisogno di luoghi comuni. Di quella semplicità trasandata a cui la comunicazione sui social ci sta abituando. Insomma, ci piace tanto tanto tanto.
Conclusioni mon amour
Un tempo gentile di Milena Agus è un romanzo che fa bene. E in cui ci siamo riconosciuti perché anche noi veniamo da una provincia abbrutita dal pregiudizio, pronta a fare la guerra a chi sta peggio. Una provincia che lotta quotidianamente con l’abbandono dei luoghi e delle tradizioni. Fra paesi da cartolina e mostri di cemento. Eppure capace di inaspettati slanci. Ci è piaciuto confrontarci con una Sardegna lontana dai circuiti vacanzieri e dalla retorica dei borghi.
Consigliamo questo libro perché affronta un tema difficile con grazia e senza bisogno di edulcorarlo. Perché non giudica. Non esaspera. Non mente. E perché nel cinismo e nella meschinità dilagante c’è tanto tanto bisogno di gentilezza.
Voto: nove
