Spatriati – Mario Desiati: è un romanzo che oppone con violenza la provincia alla metropoli, due orizzonti culturali in antitesi, incapaci di dialogare. Da un lato, Martina Franca (Ta) perfetto emblema di un Sud barocco e ipercattolico; dall’altro Berlino con i suoi locali notturni e promiscui. Il moralismo ipocrita e costrittivo contro la libertà sessuale e culturale.
La dicotomia si presenta per l’intero romanzo intrecciandosi alla storia di Francesco e Claudia. Lui, apparentemente legato alle sue radici – trulli e vigne – incapace di abbandonare il paese. Lei tutta protesa verso un’Europa “dove succedono le cose”, dove nessuno ti impedisce di diventare chi vuoi essere. Una ragazza vestita da uomo o un uomo che indossa paramenti sacri per gioco, per esempio.
Noi di Provincia Mon Amour non potevamo non leggere questo romanzo che mette sotto accusa la provincia dalla prima all’ultima pagina. E non una provincia qualunque, ma una provincia che, da pugliesi e murgiani, conosciamo bene: la Valle d’Itria con i suoi bianchi paesi sferzati dal maestrale. Bellissimi gioielli condannati, nella rappresentazione che ne fa Desiati, a un folklore bigotto, a una cultura asfittica e pettegola. Un luogo da cui fuggire prima che il proprio estro appassisca.
Avevamo letto una recensione celebrativa scritta da Nicola La Gioia, noto scrittore pugliese vincitore del Premio Strega col romanzo “La ferocia” nel 2015, che salutava la pubblicazione di “Spatriati” come prova della raggiunta maturità dell’autore.
Noi non siamo riusciti a condividere lo stesso entusiasmo, ma abbiamo trovato spunti e passaggi che rendono interessante la lettura. Veniamo ora alla nostra recensione: l’abbiamo procrastinata a lungo cercando di far decantare le impressioni a caldo. E infatti un secondo approccio, più analitico, ci ha permesso di lasciar perdere la trama (che non ci ha convinto) e di apprezzare altri elementi.
Leggete qui sotto l’analisi completa.
Scheda
Titolo: Spatriati
Autore: Mario Desiati
Casa Editrice: Einaudi
Collana: Supercoralli
Anno di pubblicazione: 2021
Pagine: 277
Prezzo: 20,00£ (edizione cartacea)

Spatriati – Mario Desiati: l’argomento
“Spatriati”
Francesco e Claudia sono membri di una generazione, colta e borghese, che ha deciso di abbandonare la provincia per l’Europa cosmopolita. Non tanto per la mancanza di occasioni lavorative o di risorse, quanto per il bisogno, altrettanto urgente, di allargare i propri orizzonti. Di concedersi un’apertura di spazio e di sguardi. Una nuova bohème, possibile solo lontano dai circuiti di paese con le sue chiacchiere, i rituali, l’inevitabile incasellamento all’interno di una famiglia, un gruppo o un’identità di genere.
I due amici si sono conosciuti a scuola. Francesco è stato folgorato dai capelli rossi di lei. Claudia, anticonformista solitaria, non sembra ricambiare la stessa passione, ma non può sottrarsi alla complicità che scaturisce dalla loro amicizia. E si mette al timone. Per i vent’anni successivi il loro legame resterà fortissimo, sopravvivendo a brucianti storie d’amore e di sesso – sia etero che omosessuali. Una relazione atipica cementata da letture comuni e di nicchia (le poetesse e i poeti pugliesi che nessuno dei loro coetanei conosce), dal suono ossessivo della musica techno e dai rave party. Nel cuore della Valle d’Itria così come nei localacci di Londra o Berlino.
I due sono “spatriati” nel duplice senso che il dialetto pugliese assegna a questa parola: espatriati ma anche tipi fuori dalla norma. Fuori di testa.
Il racconto berlinese che occupa la seconda parte del romanzo ci è parso in certi punti fumoso. Una giustapposizione di trasgressioni ed episodi convulsi (inframmezzati da esplosioni di improvviso lirismo) che sembravano non aggiungere più nulla di nuovo, non avere più un baricentro.
I personaggi del romanzo
Nella gerarchia dei personaggi troviamo, in primo luogo, i due protagonisti: Claudia e Francesco. Lui catafratto nella sua timidezza e in un provincialismo angusto. Lei volutamente – e istericamente- trasgressiva e sradicata. Il loro percorso esistenziale è un processo di formazione incompiuto. Pur quarantenni, restano simili agli adolescenti inquieti e insoddisfatti che incontriamo nelle prime pagine. Soprattutto Claudia appare un personaggio improbabile con la sua originalità cucita addosso come un costume da esibire con compiacimento. La fuga verso le grandi capitali d’Europa è l’unica scelta possibile per lei che la persegue con coerenza fin dal liceo.
Più tortuoso è invece il percorso di Francesco. Legato alle processioni e alla vita da chierichetto in una chiesa di periferia. Ci vorrà del tempo prima che anche lui uccida la provincia in un club berlinese dove la fluidità sessuale e il camuffamento sono l’antidoto alla noia. Alla pantomima dei matrimoni piccolo-borghesi, dei figli fatti per dovere, del perbenismo. Insomma, un antidoto al genere di vita che apparentemente ha consumato i suoi genitori.
A un gradino più basso incontriamo appunto i genitori fedifraghi. Il padre di Claudia e la madre di Francesco, infatti, sono amanti. Felici e paghi. Completi. Agli occhi dei rispettivi figli sono figure gigantesche e bellissime, traccia di un amore assoluto e perduto che spinge (Edipo ed Elettra compiacenti!) Claudia a indossare i vestiti di suo padre e Francesco a usare i rossetti e le matite di sua madre.
Più in basso ancora si collocano i genitori traditi. Il padre di Francesco e la madre di Claudia sono, per ragioni diverse, il perfetto esempio della grettezza che solitamente si attribuisce al provincialismo. Verso di loro non c’è nessuna pietà, nessun gioco di chiaroscuro.
Attorno a questo sistema orbitano, come personaggi satellite, gli uomini e le donne amati dai protagonisti: Erika ed Andria su tutti. Espressione di legami che sfuggono a un preciso incasellamento, sempre sul punto di rompersi.
I luoghi del romanzo
I luoghi del romanzo “Spatriati” come i sentimenti e gli umori dei personaggi, hanno sempre in sé qualcosa di drammatico, un’aria dolorosa ed erotica, espressione di un desiderio inappagato. Le descrizioni ruotano attorno a una precisa polarità. La Puglia paesana e provinciale contro la metropoli labirintica e dilatata. L’orizzonte chiuso contro quello aperto.
Veniamo alle città. La cittadina di Martina Franca con i suoi palazzotti barocchi e le campagne punteggiate di trulli è dipinta ad acquerello. Una bellezza struggente, verde-azzurra, che tuttavia non basta a riscattarla. Che non la salva. È questa la tesi profonda del romanzo. A nulla è servita la cosiddetta “primavera pugliese”, il risveglio culturale dei primi anni Duemila. E a nulla serve oggi la malia delle case bianche e dei vicoli che girano in tondo, delizia dei turisti e dei blog di viaggio. Il profumo delle erbe selvatiche sulle colline stordisce ma non sazia. Alla generazione degli intellettuali, quest’aria da cartolina non basta. La provincia calza stretta.
“I ponti di Massafra cucivano la polpa di una città segnata dalle gravine. Era come guardare la terra dal suo centro. Lì mi assaliva l’impulso di urlare. La sera tornavo stanco e affranto, gli occhi stropicciati, la gola asciutta”
Nel racconto della periferia come in quella del centro storico il lirismo si mescola ai dettagli folkloristici e barocchi (il crocifisso ligneo della processione, i paramenti sacri, l’erotismo represso delle zuffe fra chierichetti).

Berlino. Diverso è invece il paesaggio berlinese. Seguiamo i protagonisti in grandi capannoni di periferia trasformati in club musicali d’avanguardia. Il Berghain dove si suona la techno, il Golden Gate lungo la linea metropolitana. Qui il lirismo esplode nei tramonti ma appare meno genuino, più affettato. Ci ha coinvolto soprattutto la rappresentazione dei club notturni e della folla che li riempie, il mondo variopinto della metropolitana, il lungofiume, molto meno i passaggi che ritraggono il protagonista perduto nella contemplazione di cieli e profumi. Come in preda a picchi di improvviso e distonico romanticismo.
Spatriati – Mario Desiati: la struttura narrativa e lo stile
“Spatriati” di Mario Desiati si compone di sei parti più un epilogo. Seguono alcune note dell’autore, un’appendice erudita che approfondisce alcuni dettagli del romanzo con precisazioni storiche, letterarie e di costume. Qui si spiega la cultura pop che è alla base della generazione dei quarantenni, soprattutto pugliesi. È questo uno degli elementi del romanzo che abbiamo apprezzato. Ogni parte ha come titolo un’unica parola evocativa. Le prime tre sono dialettali, le altre tre tedesche e composte. L’epilogo ha come titolo Amore. L’unica parola italiana. Ciascuna di esse è illustrata in un’epigrafe che apre il capitolo.
Il racconto è in prima persona. Le vicende sono narrate dal punto di vista di Francesco. Tuttavia la focalizzazione interna è variabile e spesso seguiamo le vicende, i pensieri, gli umori di Claudia anche quando è lontanissima da lui. La narrazione degli episodi che riguardano la sola Claudia non ci convincono, proprio perché è Francesco a raccontarli (pur ammettendo che conosca la sua amica nel profondo o che immagini alla perfezione la sua vita metropolitana a partire da quanto lei racconta al telefono).
La voce di Francesco Veleno è sempre tesa, drammatica, senza leggerezza e senza ironia. È il tono di voce caro a Desiati, lo si ritrova in tutti i suoi romanzi. Si apprezza soprattutto la ricerca lessicale nelle parentesi liriche nelle quali incontriamo nomi precisi di piante e di elementi architettonici o folkloristici. In certi passaggi però stucca e le immagini si fanno inconsistenti.
“Tornò Domenico per qualche giorno con la moglie e la figlia, quando lo seppi corsi in campagna a mangiare i fiori viola della borragine e i germogli della malva come aveva fatto Claudia alla morte del padre”.
La ricerca sulle parole
In un’intervista apparsa sul Corriere della Sera il 17 Agosto 2021, Mario Desiati, parlando di “Spatriati” ha rivelato che alla base del romanzo vi è prima di tutto un approfondito studio sulle parole. Le parole chiave che scandiscono i capitoli della narrazione e la vita dei personaggi principali. È l’aspetto più affascinante di tutto il romanzo. Da un lato Crestiene, Spatriète, Malenvirne: tre concetti propri della cultura di paese (i Cristiani sono le persone comuni, gli Spatriati e i Malinverno i bizzarri, i non allineati, le pecore nere); dall’altro tre parole tedesche altrettanto potenti: Ruinenlust (attrazione per le rovine), Senhsucht (desiderio del desiderio); Torschlußpanik (paura di non raggiungere un obiettivo tipicamente borghese: il matrimonio, un figlio).
Ritroviamo in tutte queste parole un forte, autentico, romanticismo.
Le citazioni
Se è vero che la provincia esce da questo romanzo piuttosto malconcia, ciò che indubbiamente omaggia la Puglia è la citazione dei suoi scrittori. Da Maria Marcone, Maria Teresa Di Lascia a Rina Durante, da Alessandro Leogrande che ha raccontato l’Italsider con “Fumo sulla città” al poeta Bodini. Fino ad arrivare al sociologo, da poco scomparso, Franco Cassano, punto di riferimento del pensiero meridiano.
La trama di rimandi alle voci più belle della Puglia è un elemento prezioso di intertestualità, un ponte verso letture che ci piacerebbe approfondire.

Conclusioni mon amour
Spatriati – Mario Desiati: riteniamo che la rappresentazione della provincia e dei suoi abitanti sia stata piuttosto ingenerosa, forse perché siamo parte del sistema che questo romanzo prende di mira. Ci sarebbe piaciuto trovare un ponte nella dicotomia netta fra provincia e metropoli. Che lo strappo potesse essere in qualche punto ricucito, ma non accade. La distanza resta abissale.
In alcuni luoghi la storia ci è parsa poco sincera o eccessiva. La bellissima ricerca lessicale si è incarnata in due personaggi che non ci hanno convinto. Paradossalmente abbiamo trovato molto più credibili i genitori dei ragazzi, la loro felice trasgressione. La libertà che hanno inseguito con semplicità, senza bisogno di fuggire.
Questa lettura ci ha lasciato un interrogativo provocatorio: la libertà è impossibile in un piccolo paese? È così improbabile la piena fioritura personale?
Voi che ne pensate?
Ad ogni modo, consigliamo il romanzo ai quarantenni come noi, a quelli che non sono partiti. E a quelli che sono tornati. Al club della “restanza”, insomma e se non sapete di che cosa si tratta vi rimandiamo a un post dedicato al terremoto dell’Irpinia in cui ne parliamo.
Voto: sette