Oggi vi parliamo della festa di San Giuseppe e dei falò che il 19 Marzo in Puglia si realizzano per le strade o nei vicoli. Davanti alle vecchie chiese o nei chiassi. Si tratta di una serie di festeggiamenti spontanei in cui si mescolano leggende e folclore, devozione popolare ed entusiasmo per l’inverno che finisce. A guardar bene, infatti, simboli come la legna e il fuoco annunciano il rinnovamento della natura per la primavera in arrivo. E intanto celebrano un santo dolce e bonario, legato sia alla cultura contadina che a quella artigiana. San Giuseppe è il protettore dei falegnami e viene rappresentato come un vecchio padre che ispira rispetto e tenerezza.
Un tempo, la festa di San Giuseppe si caratterizzava per un forte senso di comunità. Per la partecipazione della gente di quartiere, in particolare bambini e ragazzini che cercavano di realizzare un fuoco alto e imponente, in competizione con quello dei vicini. Negli ultimi anni, però, si assiste a un cambio di rotta. Se da un lato le tradizioni più spontanee si stanno indebolendo, dall’altro si sta cercando di trasformarle in veri e propri eventi a interesse turistico. In iniziative organizzate dall’alto e regolamentate. Vediamo insieme le più importanti. Scopriremo che in molti casi sono collegate alla dimensione culinaria, a piatti e dolci tipici.
Come sapete se ci leggete già da un po’, per noi il racconto delle tradizioni è sempre occasione per regalarvi una ricetta. Fra tutte, abbiamo scelto di presentarne una che è tipica delle nostre parti e non troppo nota: la focaccia di San Giuseppe di Gravina in Puglia – u Ruccl.
Siete pronti? Continuate a leggere.
San Giuseppe in Puglia: leggende e folclore
La festa di San Giuseppe non è un’esclusiva della Puglia, diciamolo subito. Essa è una ricorrenza sentita in molte altre regioni d’Italia (Basilicata, Calabria, Lazio e persino in Val di Trebbia) e in tutte elemento cristiano ed elemento pagano si fondono. Rappresenta infatti la morte dell’inverno e l’inizio della primavera come tempo di rinascita della natura. In cima a una pira altissima si brucia un fantoccio: è lui il simbolo della stagione fredda ormai agli sgoccioli. Il falò viene realizzato comunitariamente accatastando ciocchi di legno, sterpaglia, rami d’ulivo appena potato. Attorno al fuoco, poi, si organizzano canti e balli, si offrono vino, frittelle e dolci tipici. Si respira una convivialità d’altri tempi.

Ma cosa lega il rito del falò con il culto cristiano di San Giuseppe? Il nesso non è subito evidente. Per spiegarlo bisogna ricorrere alla leggenda secondo cui il santo andò a bussare di casa in casa in cerca di una brace. Dopo molti e vani tentativi, riuscì finalmente a trovare il fuoco e lo nascose sotto il mantello per non farlo spegnere. Miracolosamente le sue vesti non si bruciarono.
In prima elementare imparai una filastrocca in dialetto monopolitano nella quale si raccontava proprio questa storia. In Italiano suona più o meno così:
“San Giuseppe il vecchierello/portava il fuoco nel mantello/ un miracolo che gli capitò/ fu che il mantello non si bruciò”
In Puglia, inoltre, per rafforzare il significato cristiano della festa si suole aggiungere sempre alla catasta di legna un ramoscello di ulivo come simbolo di pace. E non solo. Spesso il simulacro del santo viene portato in processione dall’omonima confraternita che riunisce soprattutto i falegnami. In ogni caso, la festa di San Giuseppe è molto sentita e molto suggestiva. Le braci hanno funzione aggregativa. Da anni ci inviano messaggi di allegria. Sono un invito alla condivisione di cibo tipico, musica, balli, filastrocche. Preghiere e scongiuri.
I falò di San Giuseppe in Puglia: dove vederli
I falò di San Giuseppe in Puglia sono una tradizione diffusa: moltissimi sono i paesi dove è possibile vederli ancora. In provincia di Foggia, li troviamo a Casalvecchio, Bovino (qui sono una vera e propria competizione tra famiglie), Alberona, Mattinata. I fuochi non solo sono un’esibizione simbolica, ma anche un luogo di accoglienza. Attorno si riunisce il gruppo degli organizzatori ma si accolgono di volta in volta i nuovi visitatori.
In provincia di Bari (su questi siamo esperti!) se ne trovano a Monopoli, a Locorotondo nei vicoli del centro storico, davanti alle chiese di quartiere e fino a qualche anno fa anche in periferia e nella prima campagna. Interessanti sono poi quelli di Toritto perché si affiancano agli altarini devozionali che le famiglie allestiscono in casa in onore del santo. A Santeramo in Colle sono accompagnati da canti, balli e piatti tipici come ceci dolci, pizza fritta. Questi sono i casi a noi più noti ma, in realtà, i paesini in cui si celebra questa tradizione sono molti di più.
Nel tarantino la tradizione si conserva a Mottola, a Lizzano, a San Marzano e in molti altri borghi. In diverse città la tradizione spontanea si è trasformata in un vero e proprio evento curato dall’amministrazione e aperto ai turisti. È accaduto negli ultimi anni a Monopoli (prima della pandemia, naturalmente): l’accensione delle braci è stata accompagnata da un vero e proprio programma di esibizione di bande e di artisti locali. Contemporaneamente si è cercato di evitare la realizzazione di braci spontanee, fuori dal centro storico, per una questione di sicurezza.

Le tavole di San Giuseppe nel Salento
Nel Salento, fra le province di Brindisi e di Lecce, è diffusa un’altra tradizione che parla la lingua della convivialità e dell’accoglienza: le tavole di San Giuseppe. In diverse case si imbandisce una tavolata piena zeppa di cibi invitanti. La si apparecchia per un minimo di tre commensali (numero che richiama la Sacra Famiglia) e fino a un massimo di tredici (il numero di quanti parteciparono all’Ultima Cena). Il numero deve comunque essere sempre dispari. Un tempo l’invito era rivolto ai bisognosi, oggi si estende soprattutto a parenti e amici.
Fra le pietanze servite ce ne sono di tipiche e simboliche: le zeppole, i lampascioni, frittelle e pesce fritto e i tòrtini, ossia pani a forma di ciambella con l’immagine del Santo e o della Sacra Famiglia. Nella tradizione originale bisognava preparare ben 169 piatti: tredici portate per tredici commensali. Un gran bel lavoro!
Fra i commensali uno aveva la funzione di San Giuseppe e stabiliva quando si cominciava a mangiare, quando si smetteva, quando si passava al piatto successivo. Come? Battendo tre volte la forchetta sull’orlo del piatto. A fine pasto poi tutto ciò che era avanzato, senza sprechi, veniva portato via dagli invitati.
Vi abbiamo fatto venire fame? Nessun problema, adesso come premesso vi lasciamo la ricetta di una prelibatezza pugliese non troppo nota fuori dal territorio dell’Alta Murgia. Continuate a leggere!
La focaccia di san Giuseppe – u Ruccl: ricetta tipica di Gravina in Puglia
Moltissimi sono i cibi legati alla festa di San Giuseppe. I più conosciuti sono le zeppole, dolci fritti a forma di anello farciti con crema pasticciera e una grossa amarena. Noi però vogliamo lasciarvi la ricetta di una focaccia rustica agrodolce che è tipica della città di Gravina in Puglia. Si tratta della focaccia di San Giuseppe. Meglio conosciuta come u Ruccl per la forma rotonda e arrotolata. Il suo profumo aleggia nelle strade del paese già dai primi giorni di marzo e annuncia la festa imminente.

Ho assaggiato u Ruccl qualche anno dopo essere arrivata a Gravina. La sua fama aveva preceduto il mio assaggio. Ne parlavano spesso i miei alunni che sempre erano divisi fra grandi estimatori e grandi detrattori. Immaginavo che la focaccia avesse un sapore forte e particolare, di quelli che o si amano o si odiano e mi chiedevo da che parte sarei stata una volta assaggiata.
E alla fine l’ho provata. La focaccia di San Giuseppe non solo mi è piaciuta, ma ne sono diventata dipendente. Perciò io e Francesco abbiamo deciso di rubare la ricetta a sua mamma e di mostrarvene la preparazione con le foto.
Ingredienti della focaccia di San Giuseppe:
Impasto:
- 500 Kg di Farina 00
- Un bicchiere di vino bianco
- 60 gr di Olio EVO
- 100 gr di zucchero semolato

Ripieno:
- 2 Kg di cipolle sponsali (porraie)
- 1 vasetto di acciughe sott’olio
- 200 gr di uva passa
- sale
- olio
Preparazione della focaccia di San Giuseppe:
Per prima cosa tagliamo le cipolle a listarelle sottilissime eliminando la parte verde (magari con la mandolina). Oliamo una padella con bordo alto, versiamo due cucchiai d’olio e uniamo le cipolle che dovranno stufare per circa 20/25 minuti, aggiungiamo sale q.b. Quando saranno pronte le lasciamo raffreddare. Tagliamo le acciughe in pezzi piccoli e le mettiamo da parte.
Poi prepariamo l’impasto. Scaldiamo il vino a fuoco lento e facciamo sciogliere lo zucchero. Quindi versiamo il composto tiepido nella farina un po’ alla volta e vi aggiungiamo l’olio. Lavoriamo la massa con le mani finché non diventa liscia. L’impasto non deve essere appiccicoso. Lo stendiamo con un mattarello dandogli forma rotonda, fino a renderlo sottile. A questo punto aggiungiamo le cipolle, l’uva passa e le acciughe a pezzettini, distribuendo uniformemente gli ingredienti sul disco di pasta.
Iniziamo ad arrotolarlo. Arrotoliamo la pasta da entrambe le estremità finché i due rotoli non si toccano. A questo punto formeranno una striscia spessa a doppia banda. La avvolgiamo su se stessa e poi la disponiamo in una teglia oliata, schiacciandola leggermente in cima e spennellandola con altro olio. Ora è pronta per essere infornata a 180° per 40/50 minuti.
La focaccia di San Giuseppe prima che venga chiusa e arrotolata Si comincia ad arrotolare la pasta partendo da entrambi i bordi Poi la si arrotola su se stessa …fino a formare una girella che deve essere poi un po’ appiattita Ecco il rotolo di focaccia spennellato d’olio e pronto per il forno
Facciamola raffreddare. La focaccia di San Giuseppe si mangia tiepida, si mangia tanto, ma soprattutto … si mangia con gusto!
Conclusioni mon amour
La festa di San Giuseppe in Puglia: tradizioni a cui siamo particolarmente legati per lo sciame di ricordi che si portano appresso. Evocano in noi immediatamente l’odore di legna bruciata per le strade, la ricerca fra quartieri del bagliore rosso rivelatore di una brace, la musica e il vociare dagli angoli di una piazzetta. Fra i chiassi del centro storico o, lontano, negli androni dei palazzi fra i caseggiati della periferia. Giorno di festa e di spensieratezza che si affacciava sulla nuova stagione e che quest’anno ci mancherà.
Da bambini non abbiamo mai partecipato alla costruzione di un falò, ma facevamo il tifo per quello del nostro quartiere. E ci piaceva andare in giro per la città a cercarne gli altri e a contarli. Anche quella era una gara da esibire il giorno successivo a scuola: il numero dei fuochi visti.
La pandemia ha bloccato per due anni di seguito i festeggiamenti e temiamo che ciò sia il colpo di grazia a una tradizione che, come molte altre, va indebolendosi o snaturandosi. Speriamo, negli anni che verranno, che l’usanza dei falò resti viva e vicina al suo spirito originario: un momento di convivialità e di spensieratezza. Da far conoscere anche a turisti e stranieri. Lo spirito del nostro progetto ci spinge infatti alla difesa del folclore. Solo quando diventa esempio di inclusione e di accoglienza.
Intanto ci prepariamo a festeggiare il nostro 19 Marzo con una bella fetta di focaccia che di tutto ci consola. Fateci compagnia!
