Le mappe emozionali di Christian Nold sono il frutto di un affascinante progetto di biomapping iniziato nel 2004. Ossia la riproduzione cartografica delle emozioni associate ai luoghi.
Quando attraversiamo uno spazio – sia esso noto o da esplorare – siamo sollecitati da numerosi stimoli che suscitano in noi sensazioni, ricordi, sentimenti. Attrazione o ripulsa. Nostalgia o stupore. Le mappe emozionali ce ne danno una rappresentazione attraverso simboli e disegni. Esse inaugurano un nuovo modo di concepire la cartografia. Infatti, se la cartografia tradizionale riproduce lo spazio attraverso le coordinate e in un’ottica matematica (pensiamo alla precisa riduzione in scala), la cartografia emozionale pone al centro l’io e le sue percezioni. Il “sentire” emotivo che scaturisce dalla relazione con i luoghi.
Le mappe emozionali interessano numerose discipline: l’architettura, l’urbanistica, la storia dell’arte, il design, la psicologia della percezione, la sociologia e la geografia. In particolare, la geografia emozionale. Una disciplina che vanta ormai una vasta letteratura e un Congresso Internazionale che nel 2010 ha riunito voci diverse e di cui sono stati pubblicati gli Atti.
Rivalutare la provincia italiana con i suoi borghi e i suoi paesaggi significa partire dal legame affettivo e dalle emozioni che legano i luoghi ai loro abitanti. Per questo gli esperimenti di Nold ci interessano e ci ispirano. Nel nostro articolo li ripercorriamo e vediamo se e quanto la cartografia emozionale abbia interessato l’Italia. Secondo questo approccio, infatti, i luoghi non sono mai neutri. Un luogo può essere attrattivo o respingente e la valutazione non è oggettiva. Prenderne atto può aiutarci a vivere le nostre piccole città e i nostri paesi con più consapevolezza. E a riprogettarli puntando al benessere emotivo e alla bellezza.

Le mappe emozionali: un po’ di storia, un po’ di letteratura
L’approccio soggettivo alla geografia si è sviluppato a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso con Dardel e Lowenthal e con l’interesse per il paesaggio. I paesaggi non sono infatti oggetto di misurazione o di definizione univoca, ma legati alla descrizione (soggettiva) e alla narrazione.
Scriveva Lowenthal in Geography, experience and imagination: towards a geographical epistemology:
“I luoghi nei quali viviamo, quelli che visitiamo e attraverso cui viaggiamo, i mondi di cui leggiamo e che vediamo in opere d’arte, e i regni dell’immaginazione e della fantasia, tutto ciò contribuisce alle nostre immagini della natura e dell’uomo. Tutti i tipi di esperienza da quelli legati più strettamente al nostro mondo quotidiano a quelli che sembrano spinti più lontano, si uniscono per creare la nostra immagine individuale della realtà.”
Negli anni Settanta si approda con Yi-Fu Tuan al concetto di topofilia (di cui vi abbiamo già parlato), ossia l’indagine del legame profondo fra le persone e i luoghi. Anche Bultiner e Relph, tra i maggiori rappresentanti della geografia umanista, ponevano al centro dell’indagine geografica il soggettivo, intendendo la conoscenza del mondo come esperienza. Relph, in particolare, riteneva che i concetti come spazio, paesaggio, città, regione, assumono per noi un significato perché li possiamo rapportare alle nostre esperienze.

Negli anni Duemila con l’affermazione della geografia emozionale il soggettivo ha conquistato anche il settore cartografico. E proprio qui si inserisce il progetto di Christian Nold e le sue carte emozionali.
Christian Nold e il biomapping
Christian Nold è un artista e designer impegnato in un progetto che dal 2004 ha coinvolto moltissime persone in moltissimi paesi del mondo: l’Emotion Mapping. Lo scopo della sua ricerca è favorire la partecipazione collettiva cercando nuovi modelli di rappresentazione dello spazio.
Nold ha messo appunto un dispositivo che ha la capacità di registrare le risposte emotive del corpo (le alterazioni nella sudorazione) e di geolocalizzarle attraverso un GPS.
Nei suoi workshop un certo numero di persone percorre le strade della propria città indossando il dispositivo. Le emozioni provate nel corso della passeggiata vengono così registrate e associate a luoghi precisi. Ciascun partecipante ha anche a disposizione un taccuino per annotare osservazioni e tutto ciò che scaturisce dalla relazione con i luoghi. Il dispositivo, infatti, registra solo la presenza di alterazioni emotive ma non è in grado di distinguere fra emozioni positive e negative. Perciò le informazioni appuntate sul taccuino forniscono un’importante integrazione.
Gli input confluiscono poi su un computer che li dispone su una mappa di Google Earth. Delle colonnine più o meno alte (come quelle di un istogramma) indicano i picchi emotivi, cioè i luoghi in cui sono state registrate più emozioni. I dati e gli appunti annotati dai partecipanti sono poi discussi pubblicamente per stimolare proposte di miglioramento, individuare le criticità e i problemi da affrontare con più urgenza.

La cartografia non ha più una logica euclidea, ma è una manifestazione fenomenologica della realtà, dà voce alle esperienze, alle emozioni. E si presenta come uno strumento da cui partire per riprogettare collettivamente e dal basso una città più vivibile. Bello, no?
Nold non è più uno studioso che osserva dall’esterno e con distacco la realtà da studiare, ma si cala completamente nel vissuto che analizza. Utilizza l’empatia dell’insider, parte cioè dall’esperienza di coloro che vivono abitualmente i luoghi. E che a quei luoghi legano la propria identità.
Le mappe emozionali in Italia
La realizzazione di mappe emozionali è un esperimento galvanizzante che coinvolge i cittadini e li impegna non solo nella ricerca ma anche in discussioni proattive. Forse vi starete chiedendo se questi esperimenti di biomapping abbiano riguardato anche l’Italia. Noi sì, ce lo siamo chiesti. A tal proposito, abbiamo voluto isolare tre esperienze significative.
- Firenze, Palazzo Strozzi, 2007: in occasione della mostra Sistemi Emotivi che si è tenuta a Palazzo Strozzi tra il 2007 e il 2008, Christian Nold è stato chiamato a realizzare una mappa emotiva di Firenze. Al workshop hanno partecipato comunità di artisti locali, coinvolti nel processo di mappatura. Ne è scaturita un’opera artistica generata dagli stessi partecipanti al progetto e rappresenta la materializzazione delle emozioni provate.
- Milanomifamale, Milano, 2009: Milanomifamale è una mappatura emozionale della città con cento luoghi insoliti, speciali. Punto di partenza per una guida ai luoghi inaspettati e a una nuova forma di ospitalità urbana. Il nome del progetto viene da una canzone degli Alconauti ed è stato realizzato da NABA design.
- Matera, la mappa madre, 2019: nel 2019 la città di Matera è stata capitale della cultura. In questa occasione è nato un progetto chiamato “Atlante delle emozioni delle città”. Il nome allude all’opera di Giuliana Bruno, punto di partenza della geografia emozionale. Si tratta di un vero e proprio viaggio nell’anima dei luoghi che ha prodotto una mappa madre a forma di balena. E molte altre mappe (proprio come in un atlante) che nascevano dal contributo di due diverse anime cartografiche: le mappe redatte da chi vive la città e le mappe dei forestieri. Le prime erano grappoli di memorie, le seconde comprendevano invece ciò che emozionava le persone che percorrevano Matera per la prima volta, scoprendola. Viaggi nel tempo di contro a viaggi nello spazio.

Mappe emozionali e walkscapes
Ma c’è un punto che più di tutti ci piace e ci incuriosisce. Le mappe emozionali nascono da passeggiate per la città. La chiamiamo walkscapes, una parola inglese che fonde walk (= camminare) e landscape (= paesaggio). Camminare infatti è l’atto che ci permette di scoprire il paesaggio. Di esplorarlo al tempo stesso di crearlo. Camminando ci appropriamo dello spazio cittadino, entriamo in relazione con i luoghi attraversati, ci immergiamo in una selva di stimoli sensoriali. Questo significa scoprire geografie latenti e soggettive (tante quante sono i percorsi spontanei dei partecipanti). Secondo Francesco Careri, che ha scritto “Walkscapes, camminare come pratica estetica” 2006, camminando si creano luoghi. Ossia spazi dotati di senso per chi li attraversa.

Si può camminare allo scopo di scoprire tracce oppure per narrare gli spazi osservati e percepiti. La cartografia emozionale è uno strumento funzionale alla narrazione dei luoghi e alla loro eventuale trasformazione. Le mappe di Christian Nold hanno stimolato, per esempio, discussioni attorno alle criticità. Ci si accorgeva della mancanza di attrattive per i giovani o di un’eccessiva attenzione alla parte commerciale. Della mancanza di interesse per i luoghi storici o del fastidio comune registrato nelle aree con eccessivo traffico. I partecipanti al workshop prendevano così consapevolezza di molti aspetti che, magari, fino ad allora avevano dato per scontato o di cui non si erano accorti. E lanciavano proposte oppure esprimevano desideri e bisogni.
Camminare è quindi un primo forte contatto con lo spazio. Un’acquisizione di consapevolezza. Un antichissimo modo di viaggiare che stiamo riscoprendo insieme alla dimensione della lentezza propria del turismo immersivo.
Conclusioni mon amour
Le mappe emozionali ci entusiasmano. Ci ricordano che il mondo è una vera e propria scenografia. Un fondale onnipresente, mai neutro, che condiziona il nostro modo di essere, le nostre attività. Si intrufola nei pensieri e forgia l’identità profonda di ciascuno. Le mappe emozionali fotografano il legame emotivo fra noi e i luoghi. Ci aiutano a riprogettare città e paesi in modo che vi si possa vivere meglio.
E noi naturalmente pensiamo alla provincia, a come se ne possa migliorarne la vivibilità attraverso progetti e workshop che favoriscano la partecipazione dei cittadini.
Per ora la cartografia emozionale è stata utilizzata solo per analizzare lo spazio urbano, ma riteniamo che sarebbe altrettanto stimolante impiegarla su territori marginali e laterali. In parte è ciò che è accaduto con la comunità montana di Ussita, i cui abitanti hanno prodotto collettivamente una guida sui generis, non turistica. Un’opera corale che aggrega storie ed emozioni, allo scopo di far rivivere luoghi dopo il terremoto del 2017.

Quando pensiamo alla provincia – che è la nostra casa ma anche il nostro terreno di indagine e di scoperta – ci rendiamo conto che essa ci ha plasmato. Che certi luoghi, vissuti nel tempo, nei loro numerosi cambiamenti rappresentano per noi campi di attenzione. Fortissimi attrattori. Sono cioè elementi che acquisiscono valore in virtù delle nostre esperienze e dei nostri ricordi. Spazi a cui diamo un significato e che ci viene naturale raccontare. Non nascondiamo, perciò, che ci piacerebbe moltissimo prendere parte un giorno a un esperimento di biomapping. O alla costruzione di una nostra personale carta emozionale della provincia vissuta e “sentita”.
Che ne pensate?