Le case del malcontento di Sacha Naspini è un romanzo che avvinghia: non sei tu che lo divori, è lui che ti spolpa. Ti abbranca, gioca con te come fa il gatto col topo, allenta la morsa per un attimo e poi torna stringere più forte – una zampata di qua, un morso a tradimento. Il colpo di grazia arriva alla fine. Quando hai macinato quasi cinquecento pagine e non hai più respiro. Anche perché non capita spesso di imbattersi in una narrazione generosa, che non ha paura dei suoi mille diverticoli e mostra anzi una naturale propensione alle storie. Una sorta di “felicità” diegetica che si coglie in ogni vicenda e in ogni corollario, persino in quelli più macabri.
Sacha Naspini ci porta a Le Case, un cupo borgo d’Alta Maremma, scabro come i suoi abitanti, e canagliesco. Noi lo immaginiamo come uno dei mille borghi d’Appennino corrosi dal verme dello spopolamento. Un paesino di montagna invecchiato fra segreti e silenzio, e già quasi fantasma. Lo diciamo subito: il romanzo ci ha conquistato. Perché ha saputo rappresentare il lato oscuro dei piccoli paesi e il loro fascino terribile. Un brulicare di esistenze vivaci che nasconde ferite e orrori, sogni mancati ma anche tanta tenerezza.
In una provincia così profonda non si può che sprofondare. E noi lo abbiamo fatto. Al punto che troviamo particolarmente difficile scrivere oggi la nostra recensione perché la voglia di condividere impressioni e turbamenti si scontra col desiderio di lasciarvi navigare senza punti di riferimento. All’avventura come è successo a noi.
Scheda
Titolo: Le case del malcontento
Autore: Sacha Naspini
Casa Editrice: E/O
Collana: Dal mondo
Anno di pubblicazione: 2018
Pagine: 458
Prezzo: 18,50£ (edizione cartacea)
Le case del malcontento – Sacha Naspini: l’argomento
“Le case del malcontento” è un romanzo corale, fitto di voci e personaggi. Ciascuno racconta la propria storia soffermandosi soprattutto sui momenti che ne costituiscono la ferita. Una frattura non più sanabile. Che sia un’occasione mancata o un rovescio di fortuna. La storia di ciascuno è strettamente legata alle altre e al contempo può essere considerata un racconto a sé. Conchiuso e perfetto. Doloroso nella migliore delle ipotesi, ma molto più spesso crudele. Dalla seconda guerra mondiale ai giorni nostri, la vita nel paese è storia di un progressivo invecchiamento, di giovani che se ne vanno, di ricordi e rimpianti. Una decadenza logorante che intacca i muri e le persone.
Voce dopo voce si ricompone il mosaico della vicenda principale: il ritorno in paese di Samuele, un giovane abbandonato da sua madre quando era bambino e cresciuto a Le Case dalla nonna Esedra. Grava su di lui il sospetto di una vicenda terribile. Un’ombra che lo rende al contempo personaggio sinistro e affascinante. Soprattutto agli occhi della bella Eleonora.

I personaggi del romanzo
Il vero protagonista del romanzo è il paese stesso col suo umore burbero e beffardo. Tutti i suoi abitanti hanno uno spazio nella storia. Sono perlopiù molto anziani e ci raccontano il presente confrontandolo col tempo della loro gioventù.
Il medico. Il tabaccaio. Il barista. La cartomante. La vedova che non si è mai sposata. Giovannona. Il Divo. I nani sordomuti. Il sacerdote. Due gemelli, uno vivo, l’altro morto. Il marchigiano che sogna una moto. Il nullafacente. La ninfomane. Il campione di scacchi. Un tedesco. La moribonda che non muore. Il Calamaio. Varie mogli. Terribili madri e padri peggiori, da dimenticare.
Una varietà di tipi umani che potrebbero diventare macchiette e non lo sono mai. Il lettore si crea su di loro aspettative che muovono da vecchi stereotipi, ma vengono puntualmente disattese. E per fortuna. Da un lato, la cornice del borgo e la parlata marcatamente toscana offre al lettore moti rassicuranti di simpatia. Dall’altro però, gli abitanti de Le Case non sono simpatici per niente. E lo mettono subito in chiaro mostrandosi respingenti e spinosi. Al punto che il lettore oscilla di continuo dalla repulsione al sorriso, dallo scandalo grasso alla comprensione intenerita. Perché alla fine, ci viene naturale assolverli tutti anche se ci domandiamo perché.
“La verità è che a Le Case ci sono fatti che vengono a cercarti dopo sessant’anni. Nascono prima di te e resistono alle intemperie pur di scoppiarti in mano al momento giusto. Le Case è un posto pieno di trappole, la più grande resta il cervello bacato di quelli che ci abitano dentro.”
L’autore scava nel passato e nell’indole di ciascuno, mostra ogni borghigiano sotto molteplici punti di vista. Come appare agli occhi degli altri – fra storielle e maldicenze – e come lui si racconta a se stesso. Scorre però sottotraccia una violenza che accompagna le case e gli uomini, pronta a liberarsi alla prima occasione. Nel silenzio dei vicoli, fra le stanze chiuse a chiave: ambulacri insospettabili che si nascondono dietro le pareti delle case o nel profondo dell’anima.
I luoghi del romanzo
Le Case si offre subito a noi in una mappa che precede la narrazione e che ci porta fra stradine e casette aggrappolate alle radici dei monti Punta San Martino e Due Ali. In una Toscana che non ha le dolcezze da cartolina della Val d’Orcia o il languore dei vigneti dove vanno a sposarsi le star hollywoodiane. Siamo nel cuore di una Maremma selvaggia e velenosa. Un luogo pre-romantico fatto di rovine e nebbia che si mangia le case, tende trappole, prepara frane e piovaschi rovinosi.
“Immaginavo un paese dove ogni stanza portava a un’altra stanza, all’infinito. Un Le Case che alla fine era una casa sola, piena di passaggi nel sasso e nei mattoni che sbucavano in ogni abitazione, comprese le chiese e la torre”
Le Case ci sembra l’inconscio estroflesso dei suoi abitanti. Un luogo onirico e al contempo estremamente reale nei suoi più minuti particolari. Con le sue case, tutte vicine, il curvone, le salite, le scale ripide, la chiesa alta e la torre dell’orologio che domina su tutto. Paese e labirinto. Circuito chiuso ma pieno di ambagi in cui ci si perde che è un piacere!

Ancora più aspro, in pochi cenni, appare l’Appennino pistoiese da cui proviene, uno dei personaggi della storia. Scosceso, selvoso, luogo di fame e di buio pesto. Anche la costa, rappresentata dalla Baia dei Butteri a Follonica, si presenta come un luogo morto e desolato, popolato da vacanzieri sguaiati e ammorbato da cattivi odori. La Corsica, infine, si staglia terribile con le sue Bocche di Bonifacio e le onde che si infrangono fra le rocce gigantesche. Luoghi mostruosi che, alla fine, sembrano tutti appendici del borgo, i suoi lunghissimi tentacoli.
Le case del malcontento – Sacha Naspini: la struttura narrativa e lo stile
Le case del malcontento di Sacha Naspini si compone di 29 capitoli che hanno come titolo il nome e il ruolo del personaggio che fungerà da narratore in quella sezione. Le loro voci si susseguono l’una dopo l’altra, a volte ritornano, si incastrano perfettamente facendosi eco, aggiungendo particolari o ribaltando completamente la prospettiva del racconto precedente. La storia si presenta alla fine come un grande mosaico. Con un pizzico di suspense che non si scioglie mai del tutto ma che mai troppo incalza, perché romanzo ha l’architettura di un thriller sì, ma che procede a ritmo lento. Come un viaggio a piedi in cui ti gusti tutti i particolari e ti fermi spesso per una deviazione interessante o un inaspettato panorama. Abbraccia poi un tempo lungo almeno di tre generazioni come un’epopea fosca e tenera. In una mescolanza di generi che lo rende originale e, a nostro giudizio, prezioso.
La scrittura abbraccia il lettore con naturalezza, è un flusso abbondante e largo. Alcuni personaggi si esprimono tutti in un italiano da Malebolge. Sporcato dal dialetto, prodigo di dettagli, generoso, spesso osceno. Anche nel parlato, però, si rintraccia una poesia genuina che fa tremare i polsi per la sua carica espressiva:
“…sì anche qui, Rosanna cara. Ha cominciato a fare brutto un’oretta fa, sul mezzogiorno. Un nero da fare impressione. Di quelli che s’affacciano d’un tratto e mangiano le creste, con il cielo che si chiude di schianto a nottata. Se guardo la piana dalla finestra alta vedo solo un polverone. E poi, un vento. Folate che sembrano spintoni, e ancora dura. Vedrai che come calma viene giù anche il paradiso”
Conclusioni mon amour
Le case del malcontento – Sacha Naspini: la nostra recensione si è conclusa e ci resta la sensazione di aver detto troppo e di non aver trasmesso l’essenziale.
Ve lo chiediamo: quanti di voi a sentire la parola “borgo” non la associano all’immagine di un luogo ridente e suggestivo, reso prezioso dalla quiete delle strade e dai fiori ai balconi? Per noi spesso è così. Molto forte è ormai la retorica sui paesi e sullo stile di vita lento. In passato, se ricordate abbiamo persino dedicato un articolo alla scelta di comprare casa a 1 euro in uno di quei borghi a rischio spopolamento.
Quindi la lettura di questo romanzo ci ha spiazzato. Ma ne siamo stati attratti subito fin dalle prime pagine. Lo consigliamo soprattutto a chi cerca il piacere della narrazione, a chi ama abbandonarsi alle storie senza fretta. Perdersi e ritrovare il filo, abitare un libro come si abiterebbe un paese. Noi dal canto nostro, continueremo a braccare Sacha Naspini e la sua scrittura robusta. Recupereremo a breve tutti i suoi libri a tema provincia. Che ne pensate?
Voto: nove più
