L’acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito: il mai è una promessa. Mantenuta fino all’ultima pagina. Il titolo è una metafora e lo capisce anche il lettore che non ha ancora aperto il libro. Il romanzo, che si è classificato quarto fra i finalisti del premio Strega, ci porta ad Anguillara Sabazia sul lago di Bracciano. Dove la provincia non può non confrontarsi con la capitale, da cui giungono, malvisti, gli escursionisti della domenica o la piccola borghesia di scarto, in cerca di un luogo di residenza più economico.
Non aspettatevi il borgo pittoresco dei turisti, delle osterie e delle saghe enogastronomiche. Non c’è traccia della rappresentazione edulcorata e bozzettistica della vita di provincia. Emerge piuttosto la quotidianità desolata di un gruppo di ragazzi e ragazze spietati e fragilissimi. Su tutti la protagonista, il cui nome si rivela verso la fine e che noi non vi sveleremo. La seguiamo dalle scuole medie all’università senza mai riuscire a vederla adulta. Incassa i colpi della vita con “le pietre nello stomaco”, sempre più dura e malmostosa. Come un bambino digiuno di empatia e affamato d’affetto che non sa dimostrarlo se non scalciando forte.
La dimensione smaccatamente provinciale ha posto questo romanzo al centro dei nostri interessi. Ma non ci ha convinto del tutto.
Leggete la recensione completa per un’analisi dettagliata dei punti di forza e di debolezza.
Scheda
Titolo: L’acqua del lago non è mai dolce
Autore: Giulia Caminito
Casa Editrice: Bompiani
Collana: Narratori Italiani
Anno di pubblicazione: 2021
Pagine: 297
Prezzo: 18,00£ (edizione cartacea)

L’acqua del lago non è mai dolce – Giulia Caminito: l’argomento
“L’acqua del lago non è mai dolce” è un romanzo di formazione? Sì, ma incompiuta.
Al centro della narrazione c’è il racconto di un’adolescenza che non vuol finire. Di una maturazione che sfugge per ragioni esistenziali e sociali. Per l’impossibilità da parte della protagonista di essere individuo indipendente psicologicamente ed economicamente da una famiglia che si concentra soprattutto nella figura – gigantesca – di Antonia la Rossa, la grande madre.
Personaggio affascinante e problematico, Antonia si presenta animata dal demone di un severo senso di giustizia. Titanicamente tesa a ottenere, attraverso i suoi figli, un riscatto sociale ed economico che le sembra dovuto. La donna combatte per ottenere una casa popolare, perché sua figlia studi nelle migliori scuole, perché suo figlio maggiore (che ha ereditato il suo stesso spirito battagliero) non si faccia ammazzare in un corteo di protesta. Non manifesta tenerezza né amore se non nella feroce tensione alla difesa dei diritti della propria famiglia. Investe sulla sua secondogenita tutte le speranze, tutte le ambizioni, le migliori forze, l’inesauribile energia. Ma inevitabilmente la schiaccia.
” Perché sempre si oppone? Si erge come diga. Perché non si fa vicina? Come tutte le madri, o almeno la madre che io vorrei, e non bacia, non accarezza, non pettina i capelli, non rassicura, non incoraggia, ma solo giudica e pretende, ma solo mortifica con parole e accuse, e sottolinea la fine dei sogni e delle speranze.
Mi fa sentire molto da meno, un fallimento, una caduta, un ingranaggio spezzato, un pendolo fermo alle sei del mattino quando ormai è notte fonda: fuori fase, balorda, non so dove cercherò, non so a chi chiederò, come mi arrangerò perché non so arrangiarmi, io so attendere che mia madre arrangi.”
La protagonista del romanzo
E la protagonista? Obbedisce a sua madre e intanto alimenta dentro di sé una rabbia crescente, distruttiva, che investe chiunque provi a sottrarle qualcosa (attenzione, affetto, oggetti). Persino il suo atteggiamento nei confronti dei libri e dello studio ha qualcosa di bulimico e di aggressivo, ma anche di inane perché sembra non cambiarla, non modificare in nulla il proprio punto di vista. Non lasciare traccia. E se Antonia si presenta come implacabile paladina del bene, sua figlia sembra fare di tutto per comportarsi come una ragazza difficile.
La protagonista, col nome che non sveliamo e che non la rappresenta, è respingente. Fragilissima e cinica. Non siamo riusciti a provare empatia nei suoi confronti. Forse per difetto (nostro) di sensibilità. Forse perché in lei non registriamo alcuna forma di altruismo. La ritroviamo, infatti, dall’inizio alla fine trincerata nel proprio ego, rabbiosa nella sua bassa autostima. Incapace di offrire, se non in ritardo, un sacchetto di limoni che marciranno per il caldo. In un romanzo che, titolo a parte, si caratterizza per un asciutto realismo, ci sembra una metafora calzante. E bellissima.
I personaggi secondari del romanzo
Attorno alla diade madre/figlia si sgranano moltissimi personaggi secondari. Un padre invalido e apatico letteralmente fagocitato da Antonia che lo accudisce e strapazza come fosse il suo quinto (indesiderato) figlio. Mariano il fratello maggiore, anarchico e protettivo, i fratelli più piccoli, appendici senza personalità. E poi la selva fitta dei coetanei, da un lato i compagni ricchi di Roma, dall’altro le comitive fluttuanti e sfilacciate della provincia. Molti. Troppi. Alcuni, secondo noi, solo abbozzati: troppo presenti per essere comparse, troppo poco essenziali per essere incisivi. Luciano, Andrea, Agata, Carlotta, Elena, Orso, il Greco, Cristiano. Entrano ed escono di scena lasciando pochi segni significativi nella protagonista.
Fra storie d’amore senza amore e storie di vendette e colpi bassi, si perde il legame forte e chiaroscurato con Iris. Giovane amazzone che legge classici e resiste alle bizze della protagonista. Un’amicizia che ci sarebbe piaciuta più a fuoco, più al centro. E che l’autrice ha costruito ispirandosi a una sua grande, preziosissima amica.
I luoghi del romanzo
I luoghi del romanzo “L’acqua del lago non è mai dolce” sono l’aspetto della storia che più ci ha colpito. Quello che apprezziamo senza eccezioni. Giulia Caminito ci porta dalle periferie romane ai borghi. Dalla via Cassia ai binari che conducono alla provincia. Non turistica, non edulcorata, non bozzettistica. Il lago di Bracciano che dà il titolo al romanzo è limaccioso e torbido. Inquinato fin nelle radici. Un posto in cui ci si può tuffare, ma si rischia lo schianto.
Anguillara Sabazia è descritta nei suoi spazi più desolati. Le antenne di Radio Vaticana. I locali attorno al lago chiusi d’inverno, le discoteche soffocanti. La piscina svuotata e la spianata di cemento su cui prendere il sole. Il centro storico, chiuso in una cinta muraria, è ben separato dalla quotidianità – dura e apatica – dei giovani del paese. La saga del pesce, tanto nota ai turisti, un momento di folklore che disgusta la protagonista. Il Castello Odescalchi, la Collegiata, la chiesa nel borgo antico dove ci si sposa per moda sembrano tracce di un altro pianeta. Una dimensione guardata dal basso, con estraneità.

Il quadro della gioventù di provincia nei primi anni del Duemila è preciso e toccante, per nulla stereotipato. Svuotata, aggressiva, spesso senza senso. Fra squilli di saluto sul telefonino e messaggi, i ragazzi e le ragazze sfrecciano in due sul motorino. O sulle auto dei genitori. Si spostano su treni traboccanti dove imparano presto a sgomitare per difendere e strappare il proprio spazio vitale. Si allenano a un destino da pendolari.
Al capitolo 8 la voce narrante si profonde in un’illuminante radiografia della provincia e dei suoi abitanti. È un’analisi sociologica che mette in evidenza le gerarchie sociali. Il paese è un microcosmo che guarda agli estranei con diffidenza e palese ostilità.
L’acqua del lago non è mai dolce – Giulia Caminito: la struttura narrativa e lo stile
L’acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito si compone di 12 capitoli più uno, che sembra un finale alternativo. Se mai nella vita fosse possibile cambiare il corso delle cose e darsi una seconda possibilità. Tutti hanno un breve titolo, a volte molto suggestivo (per esempio, D’estate muoio un po’). Segue una nota dell’autrice che ci spiega la genesi del libro e da dove viene il materiale narrativo su cui ha lavorato. Non è un’autobiografia, no. Lo sottolinea ma ci lascia intendere che la provincia descritta con tanta precisione e il lago di Bracciano sono parte della propria identità.
Il racconto è in prima persona con focalizzazione interna sulla protagonista di cui seguiamo gli umori, le reticenze, i rimpianti, la visione parziale delle cose. Quando c’è da descrivere qualcosa che la protagonista non ha visto con i propri occhi (per esempio la scena inziale), la voce narrante ci dice chiaramente che è così che se l’è immaginata.
Lo stile è asciutto e procede attraverso un rigoroso realismo che non conosce tensione lirica o enfasi. Molti sono i dialoghi fra i personaggi riportati direttamente senza trattini, come parte del flusso di parole della protagonista. Le frasi sono brevi e fitte. Ricche di enumerazioni quando esprimono rabbia o concitazione, sempre comunque vicine al parlato. Nonostante ciò, non si arriva mai a sporcare la sintassi o servirsi del dialetto. Nella scrittura tuttavia abbiamo notato qualcosa di distonico, di sghembo. Come se alcuni passaggi avessero degli spigoli non smussati, una voluta durezza. Che rispecchia, diciamolo, la voce della protagonista.
Conclusioni mon amour
L’acqua del lago non è mai dolce – Giulia Caminito: la nostra recensione si completa all’indomani dell’assegnazione del Premio Strega a Emanuele Trevi. Giulia Caminito si è classificata quarta. Il romanzo è stato tuttavia molto apprezzato e noi stessi prima ancora di leggerlo ci eravamo imbattuti in molte recensioni positive e solo in un paio di pareri discordanti.
Per quel che ci riguarda abbiamo trovato puntuale e coinvolgente la rappresentazione della vita di provincia, dei suoi luoghi, dei suoi limiti e persino dei suoi drammi. Non c’è bozzettismo ma una fotografia veritiera e commovente per chi, come noi, certi spazi e certi vuoti li ha vissuti e li conosce bene. È come se l’autrice ci avesse prestato le parole e i colori che non avevamo per descrivere la nostra adolescenza e parte della nostra gioventù. Siamo lontani anni luce, per esempio, dalla semplificazione che abbiamo incontrato nel romanzo “In provincia si sogna sbagliato” di Marco Bocci. Nella storia ci è mancato tuttavia uno scatto, una cesura o anche solo una lenta evoluzione da registrare. Abbiamo avuto l’impressione di una fastidiosa risacca che portasse la storia sempre al punto di partenza.
Che ne pensate?
Voto: sette e mezzo
