“La straniera” di Claudia Durasanti è un memoir che attraverso luoghi percorsi o vissuti dipana la storia di un paio di generazioni. Un’ epopea personale fatta di infinite mgirazioni. Da Brooklyn alla Val D’Agri, da Roma a Londra passando per l’India post coloniale. La storia della protagonista e della sua famiglia ci parla di continui spostamenti. Di una vita straniata e famelica. Di tanti luoghi che diventano casa e non lo sono mai fino in fondo.
Primo viene il ritmo, accelerato, convulso. Come una confessione tutta d’un fiato. Una fiumana di parole che sembrano sempre sul punto di travolgere. E che non rallentano neppure quando l’autrice si abbandona a riflessioni su vecchi film, libri, saggi di antropologia. Persino la parola conclusiva sembra un respiro breve, la sospensione di un attimo che precede una nuova valanga di parole.
Con questo romanzo abbiamo attraversato una geografia emozionale complessa. Dalla provincia del Sud, libera dalla retorica del pittoresco, ai quartieri italo-americani di New York che invece somigliano tanto alla narrazione che si fa di loro al cinema o nelle serie TV. La recensione su Provincia Mon Amour ci è parsa un’operazione complessa, bellissima e inevitabile.
Vediamo insieme perché.
Scheda
Titolo: La straniera
Autore: Claudia Durasanti
Casa Editrice: La nave di Teseo
Collana: Oceani
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 285 (ed. cartacea)
Prezzo: 18,00 £
La straniera – Claudia Durasanti: l’argomento
“La straniera” è la storia della protagonista, della sua identità complessa, del suo rapporto con i genitori bohémien. Sordi e impegnati ad affrontare la loro disabilità con passione autodistruttiva. Fin dal primo incontro su ponte Sisto a Trastevere quando il padre aveva provato a buttarsi di sotto e la madre lo aveva fermato.
La narrazione abbraccia poco più di cinquant’anni, ma raccontati come fossero ere geologiche. Senza filtro nostalgia si passa dalla bohéme romana degli anni Settanta, agli anni Ottanta a Brooklyn in una sterminata famiglia italoamericana. E poi i Novanta dei Mondiali di Roberto Baggio, di Twin Peacks e Beverly Hills 90210, dei Festival Sanremo con le canzonette più o meno impegnate. Il passato è vivido e potente, s’impone con furia caotica, come cosa finita (del tutto) ma da poco. Per cui i primi anni Dieci (con le primavere arabe, le rivolte di Totthenam, Londra prima della Brexit) hanno nella scrittura di Claudia Durasanti il fascino caldo di un’epoca che si è conclusa ieri, e non ce ne eravamo accorti.
Seguiamo la protagonista nelle sue continue migrazioni e nei suoi affetti che si allacciano e si perdono. Tornano e scompaiono più volte. La memoria con le sue ricorrenze e le sue lacune è infatti una centrifuga che ci sballottola. La trama è difficile da sintetizzare, la sinossi infarcita da un pulviscolo di episodi. Un’educazione sentimentale che oscilla tra straniamento e ricerca di radici.
I personaggi del romanzo
L’irrequietudine è la cifra che definisce i personaggi. La ritroviamo nella protagonista che si autodefinisce “la straniera” così come la chiamavano nel paesino lucano dove si era trasferita. La leggiamo in sua madre che affronta la disabilità con rabbia, camminando sotto la pioggia per chilometri, negandosi il linguaggio dei segni, difendendo con ostinazione la sua lingua. La ritroviamo nel padre e nei suoi gesti estremi: dai tentativi di suicidio, al rapimento di Claudia. L’irrequietudine caratterizza il loro rapporto d’amore e la relazione (capovolta) che stabiliscono con i figli.
Se i genitori sono per Claudia un fiume in piena, capace di devastazione, suo fratello è come un argine. Funzione ricoperta, poi, dall’uomo di cui Claudia si è innamorata e con cui ha condiviso la sua esperienza londinese. Nessuno di loro, tuttavia, riesce a bloccare l’impeto che l’autrice si porta dentro e che la getta ripetutamente nella vita come nel pieno di un mare mosso.
Tutt’intorno si sgrana, infine, una folla di personaggi secondari che lasciano una traccia vivace – e spesso dolorosa – del loro passaggio. Nonni, zii, cugini, amiche, maestre, professori e direttori. Ciascuno di loro porta addosso la propria croce che sia una dipendenza o una malattia o solo un’inquietudine senza nome. Tutti sono pronti a crollare.
Il romanzo e la provincia
“La straniera” di Claudia Durasanti ci racconta la provincia?
Sì, la provincia vista con gli occhi di ha vissuto a Brooklyn e nel New Jersey e non sa trovare grandi differenze, come ci si aspetterebbe. Non c’è fra loro l’abisso incolmabile tra il gigantesco e il piccolo, il nuovo e il vecchio. La solitudine e lo straniamento abitano ovunque, sono uno stigma che Claudia non nasconde. In questo romanzo ci sono tanti luoghi e verso nessuno sembra che l’autrice provi davvero una qualche forma di nostalgia.
In particolare, ci ha colpito la descrizione di una Basilicata fuori dagli stereotipi del pittoresco e lontana dall’immagine di Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli”. La Val d’Agri che la protagonista percorre per chilometri sotto la pioggia insieme a sua madre è quella degli impianti per l’estrazione del petrolio. Vertiginosi come le pale eoliche. Una terra di paesi rosicchiati dal terremoto, ricostruiti col cemento della modernità. La Basilicata lunare dei calanchi ma distante dal turismo sui briganti e dei borghi più belli d’Italia.
“Quando il sole tramonta in Basilicata il cielo diventa un polmone che espettora sangue, la luce fa tossire più che commuovere. Ma prima di arrivare ai calanchi, agli alberghi in mattoni rossi abbandonati vicino alle stazioni di benzina dai nomi altisonanti e alle piscine infestate, bisogna passare accanto alle torri del petrolio che brillano nella notte con i loro verdi e rossi che fanno pensare a un futuro preistorico – tutto ciò che è nuovo si ossifica presto da queste parti, diventa una sostanza minerale che riflette una luce morta e bellissima …”
Non c’è posto per una Lucania da cartolina, c’è solo lo spazio vissuto o percorso. E qualche immagine potente postmoderna, di futuro già passato. Un palazzo che ospita degli immigrati bloccati dalla burocrazia e quasi ostaggio delle cooperative. Gli incontri di “rinnovamento” in chiesa. La scuola squadrata come una scatola di scarpe. La progressiva desertificazione dei paesi che perdono i giovani e il racconto dei giovani che perdono gli accenti atavici.
La classificazione e l’etichettatura di tutti i paesani, che è la caratteristica principe del provincialismo, non sembra stupire la protagonista. Lei non esprime mai giudizi, non fa confronti, quasi che la sua infanzia fra gli italo-americani di Brooklyn non avesse poi regole tanto diverse.

La straniera – Claudia Durasanti: la struttura narrativa e lo stile
“La straniera” di Claudia Durasanti si divide in sei capitoli introdotti ciascuno da una citazione in esergo: Famiglia, Viaggi, Salute, Lavoro & Denaro, Amore, Di che segno sei. Ogni capitolo è al suo interno suddiviso in sotto-capitoli contrassegnati da altri titoletti. La materia è organizzata per grandi temi, non rispetta sempre una distribuzione per ordine cronologico. È un magma memoriale vischioso che fonde in sé momenti diversi, esperienze accomunate da uno stato d’animo dominante, illuminazioni improvvise.
La narrazione, autobiografica, è in prima persona. Passionale ma non patetica, ha un ritmo serrato, a volte rovinoso. La scrittura di Claudia Durasanti assume qui la funzione che Umberto Saba descriveva come il “ricoprire l’abisso con le rose”. È capace, cioè, di trasformare qualunque moto d’anima, anche il più meschino, in un’esperienza estetica. La parola, precisa, densa (magica) salva infatti la protagonista dagli smottamenti continui di una famiglia disfunzionale, da quella che oggi definiremmo un’infanzia “a rischio”.
“Non è vero che il tempo guarisce. C’è una frattura che non verrà mai riempita. L’unica cosa che fa il tempo è portare con sé polvere ed erbacce, in modo che quella crepa venga ricoperta fino a trasformarsi in un paesaggio diverso, lontano, quasi fiabesco, in cui si parla un idioma credibile come l’elfico“
Ci ha colpito soprattutto il racconto di tutte le volte che Claudia ha marinato la scuola per rifugiarsi a leggere sul tetto. Libri e giornalini hanno riempito la sua vita di parole e le hanno regalato una scrittura potente, precisa, mai leziosa. Capace di introspezione e di visione esterna. Tesa e coerente fino all’ultima pagina. Ironica e dolente quando sfiora il pasticcio linguistico anglo-italo-dialettale degli emigrati a Brooklyn. O il lessico arruffato di sua madre che al paese chiamano “La muta” pur essendo solo sorda.
Conclusioni mon amour
La straniera – Claudia Durasanti. È una lettura disordinata e ricca.
L’autrice ci ha posto di fronte a un nuovo modo di guardare la provincia, non necessariamente in antitesi con la grande metropoli. Soprattutto se consideriamo che anche singoli quartieri di Londra o di New York possono raccontare perimetri in cui ci si riconosce tutti. E d’altro canto, anche la Val D’Agri incontrata nel romanzo somiglia molto alla provincia che abitiamo. Prosaica e spesso omologata nei miti e nei rituali.
La storia di Claudia Durasanti ci ha molto coinvolto. Anche se a volte si aveva la sensazione di essere finiti in una lavatrice in centrifuga. E nonostante l’accostamento improvviso di episodi, nomi, situazioni in cui ogni tanto ci siamo persi.
L’epica contraffatta della sua infanzia intercetta molte comparse che hanno caratterizzato anche la nostra storia di bambini anni Ottanta, adolescenti nei Novanta. Difficile non provare una fitta di dolore per le passioni simili che ci hanno attraversato (pure a latitudini differenti). Per i terrori e gli amori comuni, televisivi o libreschi che siano. Perciò lo consigliamo soprattutto alla nostra generazione. E a chi non ha paura di un tuffo in picchiata fra paesaggi d’anima a soqquadro.
“Credevo che parlare di esseri umani significasse parlare di palazzi che crollano, di ragazze che credono di essere grattacieli destinati a implodere per un attacco terroristico interno. Ma quando penso a certe esistenze mi vengono in mente solo geo-politiche che non sono state aggiornate, vecchie versioni del Risiko!“
Voto: otto e mezzo

Grazie per aver accolto il mio suggerimento di lettura.
Non è un libro semplice questo “La straniera “. E non certo per lo stile che pur richiedendo una certa attenzione è elegante e ricercato, si legge con piacere. Non è semplice per la scelta dell’autrice di raccontare la sua storia e quella della sua famiglia senza autocompatimento. Indaga i rapporti famigliari lentamente, nel corso dei capitoli. I genitori da protagonisti della storia diventano elementi di quella individuale della scrittrice. Al senso di inadeguatezza per essere figlia di genitori disabili si aggiunge quella di estraniazione, che si esplica nell’impossibilità di riconoscersi fino in fondo in un gruppo, in una classe, in un solo Paese e in una sola lingua. Insomma una bella e coinvolgente storia famigliare. Occorre essere curiosi per leggere il libro fino in fondo. È un insieme agile di tanti racconti senza una logica nella narrazione. I capitoli sono tanti mattoncini che compongono la personalità di chi racconta. Non ci sono nomi della famiglia, non sono necessari, è più importante la narrazione dei nomi, il loro essere persone.
Grazie, Anna. Non solo per il suggerimento che è stato prezioso ma anche per questa tua lettura puntuale che ci arricchisce e offre altri spunti di discussione. Lo sradicamento della protagonista è l’elemento che mi più ha turbato e colpito. Mi dico sempre che non è facile raccontare la propria famiglia ( non solo le ferite, gli strappi ma anche gli affetti, i sentimenti che non sono mai lineari…)
Aspettiamo altri suggerimenti di lettura come questo!