La geografia emozionale: che cos’è?
Un luogo non è solo l’intersezione di coordinate, una croce sulla mappa o la destinazione indicata sul GPS. E non è la descrizione più o meno dettagliata degli elementi fisici che lo compongono. Non è solo una circoscrizione amministrativa o un insieme di funzioni. Non è soltanto la storia dei monumenti che lo caratterizzano o una carrellata di elementi che lo deturpano.

Un luogo è prima di tutto, per chi lo vive o per chi lo visita, un insieme di emozioni.
Bene, la geografia emozionale è un approccio al territorio che mette in primo piano la percezione soggettiva dello spazio. È una disciplina che nasce dall’incontro di più linguaggi: la geografia tradizionale, la psicologia cognitiva, la psicologia del paesaggio, l’antropologia, la sociologia, l’architettura, l’urbanistica, la politica del territorio. Un impasto di prospettive che si mettono a servizio l’una dell’altra col fine di raccontare i luoghi, riqualificare gli spazi, tutelare i paesaggi, creare aree capaci di suscitare emozioni positive nei cittadini e dei visitatori o anche semplicemente scambi di idee e incontri.
La geografia emozionale: esempi

Le sensazioni e i sentimenti che proviamo in certi luoghi lasciano dentro di noi una traccia. Una puntura o una carezza. Sulla base della loro carica emotiva li ricordiamo sempre o li dimentichiamo in fretta, li recuperiamo dal fondo della memoria all’improvviso o ce li ritroviamo nei sogni. Facciamo alcuni esempi pensando alla provincia: le piazze come luogo di convivialità, festa, gioco, chiacchiere e incontro; la fontana di ghisa all’angolo di strada come traccia di un passato, anche recente, che ancora ci commuove; il muretto che si affaccia sulla spiaggia cittadina cavalcato a gambe penzoloni da generazioni di ragazzi e ragazze nelle sere d’estate che ci fa battere il cuore perché richiama un bacio o una promessa tra mille risate; la panchina del parco, punto di incontro e di gioco per gli anziani del paese o ritaglio di silenzio per un lettore solitario.
E si potrebbe continuare a lungo perché infiniti sono gli angoli di mondo che ci coinvolgono emotivamente. Talvolta anche in negativo se pensiamo ai quartieri degradati delle periferie o alle campagne insozzate dalla spazzatura per i quali proviamo repulsione o sdegno.
La geografia emozionale: un po’ di storia
La nascita della geografia emozionale è attribuita alla pubblicazione dell’opera “L’atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema” di Giuliana Bruno, professoressa di Visual and Environmental presso l’università di Harvard, nel 2002. Nella sua ricerca la studiosa parte dalla Mappa del paese della Tenerezza allegata al romanzo di Madeleine de Scudéry nella quale si descrive il percorso emotivo della protagonista rappresentando cartograficamente i suoi sentimenti (con laghi, montagne, paesi, strade e depressioni) per poi analizzare emotivamente i luoghi raccontati dal cinema, dalla letteratura, dalla storia dell’architettura. Gli spazi, infatti, si caricano ancor più di emotività quando vengono rielaborati dalla narrazione. Ovvero quando vengono raccontati da un film, una poesia, un romanzo o un’opera d’arte.
Pensiamo all’ermo colle di Leopardi, alla Venezia delle vedute di Canaletto, a quel ramo del lago di Como, al cielo sopra Berlino.
La geografia emozionale: perché ci interessa?
La geografia delle emozioni ci piace perché alla base del nostro desiderio di raccontare la provincia c’è proprio un grappolo di sentimenti. L’attaccamento orgoglioso alle tradizioni, la nostalgia per un patrimonio che la globalizzazione potrebbe disperdere e soprattutto l’indignazione di fronte agli scempi che si compiono ai danni dei territori marginali, non meno ricchi di bellezza e di evidenze monumentali dei centri più grandi, ma spesso trascurati dalle amministrazioni e maltrattati dalle stesse comunità.
La geografia emozionale presuppone che i luoghi vengano vissuti e raccontati secondo un approccio immersivo che coniughi sensazioni, moti d’animo spontanei, memorie, sogni e fantasie. Ci piace definirlo un approccio “proustiano”. Cioè simile a come Marcel Proust viveva la sua Combray o sognava i campanili di Balbec.
Le mappe emotive
La geografia emotiva ha il suo modus operandi nelle mappe mentali che ciascuno costruisce più o meno spontaneamente. Esse stanno alla base della nostra rappresentazione dello spazio e sono un primo passo verso la possibilità di intervenire sui luoghi per tutelarli, rifondarli, sostenerli, riformularli. Attorno ai luoghi che si rivelano ad alta densità emotiva e che assommano l’interesse di molti individui potrà nascere, infatti, un dialogo, una problematizzazione, un progetto condiviso. Pensiamo a quante belle storie la nostra provincia nasconde, storie di impegno collettivo per la salvaguardia di un monumento, di un bosco, un’area archeologica. Gli stessi progetti del FAI con il suo censimento dei luoghi del cuore corre in questa direzione (se vi interessa l’argomento, noi ne parliamo qui).

Le mappe emotive: esperimenti
Ma c’è di più. Sono stati realizzati molti esperimenti di cartografia emotiva. In particolare Christian Nold si è occupato di progetti di BioMapping. Ad alcuni individui è stato collegato alle dita un apparecchio capace di rilevare impulsi positivi o negativi (il cui funzionamento è simile alla cosiddetta “Macchina della verità”) e un GPS per mappare gli spostamenti. Quindi è stato chiesto loro di spostarsi nelle diverse aree della città di San Francisco annotando anche impressioni e considerazioni su un taccuino. Dal confronto fra gli impulsi e le annotazioni di tutti i partecipanti è stata realizzata una mappa da cui si evidenziavano ricorrenti criticità (luoghi negativi per molti e a causa di diversi elementi) e ricorrenti punti ad alta densità emotiva su cui è stato aperto un dialogo.
Con lo stesso sistema si è riusciti inoltre a mappare gli odori di svariati luoghi associandovi dei sentimenti. Esperimenti di questo tipo sono stati fatti in tutto il mondo e anche in Italia in seno a progetti di riqualificazione soprattutto dello spazio urbano. Ma teoricamente nulla vieta che possano essere applicati anche ai paesaggi rurali e naturali. E non solo alle grandi città, ma anche alle piccole realtà di provincia.
Conclusioni mon amour
La provincia è per noi prima di tutto un sentimento. E la geografia emozionale: che cos’è? La chiave per poter tenere d’occhio proprio il territorio di provincia, saggiarne lo stato di salute, sognarlo libero dai problemi che lo attraversano e proiettato in un futuro che ne comprenda e valorizzi l’enorme ricchezza.
Raccontare i luoghi significa sottoporli al filtro delle nostre emozioni e diffondere una nuova cultura dello spazio laterale. Che deve essere sì protetto e tutelato ma anche ripensato come fonte di arricchimento estetico, spirituale, emotivo e, perché no, anche economico.