Che cos’è la deriva urbana? Vi siete mai imbattuti in questa espressione? È una pratica che consiste nel camminare per la città senza una direzione prefissata, lasciandosi trasportare dalla corrente. Guidati cioè da segni, richiami estemporanei, sensazioni e stimoli che l’ambiente stesso rivela. I primi esperimenti in tal senso risalgono alla metà del Novecento con Guy Debord e l’Internazionale Lettrista, poi confluita nel Movimento situazionista. Egli inaugurava un nuovo modo di esplorare lo spazio urbano attraversando piazze, mercati, strade, bar e costruendo itinerari estemporanei. In altre parole, Debord giocava con la città percorrendo i suoi luoghi senza uno scopo apparente, solo rispondendo alle sollecitazioni dell’ambiente.
E oggi?
Diversi sono in tutta l’Italia gli esperimenti di passeggiate urbane che si ispirano alle derive lettriste e situazioniste e abbiamo deciso col nostro articolo di raccontarvene qualcuno. Ci siamo inoltre imbattuti in un saggio sul tema molto interessante: “La deriva. Istruzioni per perdersi” di Paolo Maria Clemente, psicologo, psicoterapeuta e insegnante di scuola secondaria di secondo grado. Clemente racconta con passione i suoi esperimenti di deriva e al contempo sprona i lettori ad accettare l’dea di perdersi. Vivendo a cuor leggero la sensazione di spaesamento.
Noi che siamo smaccatamente attratti dai labirinti (reali o metaforici che siano) e abituati a passeggiare senza una meta per il paese l’abbiamo trovata una lettura illuminante.
Se con Walkscapes di Francesco Careri abbiamo visto come la pratica del camminare abbia una funzione estetica, con il saggio di Paolo Maria Clemente la inquadriamo dal punto di vista filosofico (… e anche ludico). Pensiamo infatti che entrambi gli approcci arricchiscano il mosaico della geografia emozionale e ci aiutino a costruire con i luoghi (nel nostro caso con la provincia) un legame più forte. Un vero e proprio dialogo. Come? Continuate a leggere!
La deriva: istruzioni per perdersi – Paolo M. Clemente: la nostra recensione
Scheda
Titolo: La deriva: istruzioni per perdersi
Autore: Paolo Maria Clemente
Casa Editrice: Tlön
Collana: Numeri primi
Anno di pubblicazione: 2020
Pagine: 224
Prezzo: 16,00 £
Argomento
Pensate che i luoghi calpestati, vissuti, attraversati o anche solo sfiorati siano cose morte? Vi sbagliate. Paolo Maria Clemente vuole dimostrare che i luoghi – la Zona per usare le sue stesse parole – hanno la capacità di parlare. Lo fanno attraverso segni e apparizioni. Per coglierli bisogna porsi in ascolto, esercitare attenzione. In che modo? Attraverso la pratica della deriva.
Un gruppo di derivanti (i partecipanti alla passeggiata) iniziano a camminare per le strade della città senza una meta. La direzione viene indicata loro da un segno che il leader individua. Può essere un richiamo sonoro, un incontro, una scena, un dettaglio che lo colpisce. Si percorre la stessa direzione sino alla comparsa di un nuovo segno che potrebbe decretare una svolta oppure confermare la direzione presa. Agli incroci ci si può fermare in attesa di un nuovo segno che indichi da quale parte andare. Nel corso della camminata i segni possono essere individuati da tutti (leadership condivisa) o solo dal capogruppo.
I segni sono sempre elementi casuali ed estemporanei. Non sono monumenti o cartelli o opere d’arte poste lungo la strada con l’intento deliberato di offrire messaggi o indicazioni. È un segno una foglia dalla forma particolare, un’ombra bislacca, un effetto luminoso non previsto. Non è un segno il cartello che ci indica la direzione del centro cittadino o del monumento ai caduti. È un segno un’auto che passa e che in quel momento ci comunica qualcosa. Non è un segno il bar che andiamo a cercare a bella posta perché ci piacciono i suoi cornetti ai cereali. L’autore del saggio ci racconta nel dettaglio e con un linguaggio semplice e diretto le sue numerose esperienze. E quasi ci sembra di essere lì con lui nelle sue peregrinazioni cittadine.
Ma non finisce qui. Lungo il percorso potrebbero venirci incontro delle apparizioni. Si tratta di spettacoli spontanei che suscitano stupore e ci inducono alla contemplazione. Bellezza casuale, colta nella sua quotidianità, nata d’improvviso e solo per noi. Se i segni sono un invito a procedere, le apparizioni ci spingono a fermarci. Spesso le derive si concludono proprio subito dopo un’apparizione. In ogni caso, non c’è mai una fine concordata. Il gioco termina quando ci si stanca. Perché tutto ciò che diventa noioso o faticoso, ci dice l’autore, non è più un gioco.

La deriva urbana tra spaesamento ed esplorazione psicogeografica
I segni ci parlano. Vengono dalla “città inconscia” come fosse un organismo vivo ed empatico che sfugge alla percezione comune degli abitanti o alla volontà degli urbanisti. Andare alla deriva significa lasciarsi guidare dalla corrente, rinunciare a una direzione intenzionale, non temere la sensazione di spaesamento emotivo. Tracciando itinerari estemporanei si ha, infatti, la sensazione di procedere per bivi ed ambagi come in un labirinto, persino se si procede in una città conosciuta. Si può vivere l’esperienza dello smarrimento anche nella propria città perché si seguono rotte non razionali.
Cosa serve? Un po’ di tempo libero e l’attitudine all’ascolto. In altre parole, l’attenzione verso i dettagli dai quali inaspettatamente possono scaturire apparizioni meravigliose, bellezza fuori programma. E messaggi indirizzati a noi soltanto. Bisognerebbe poi non aver paura di perdersi.
Una deriva può avere due funzioni:
- Lo spaesamento personale: finalizzato a favorire l’interazione fra il luogo e la persona che lo percorre. È mutevole, cambia da un istante all’altro. Da una deriva all’altra.
- L’esplorazione psicogeografica: finalizzata alla creazione di mappe emozionali e all’analisi degli effetti psichici prodotti dall’ambiente
Paolo Maria Clemente si sofferma solo sulla prima funzione. Distingue la deriva finita che è appunto l’esercizio di cui abbiamo parlato finora dalla deriva infinita. Ossia la proiezione della deriva dallo spazio circoscritto della città o del quartiere a quello infinito dell’universo. Il suo è un approccio induttivo, pratico e a volte un po’ didascalico. Il saggio si rivolge a un pubblico ampio e anche a chi, come noi, desidera imparare il metodo e sperimentarlo.
La deriva urbana in Italia
Abbiamo cercato in rete alcune esperienze di deriva urbana contemporanea per vedere quanto vitale sia ancora questa pratica. Ne abbiamo ricavato un panorama vario, fatto di realtà molto diverse ma tutte accomunate dalla volontà di dare centralità ai luoghi “laterali”, lontani dai circuiti turistici.
- Campania abbandonata. Ci siamo subito imbattuti nelle derive suburbane rivolte ai luoghi campani dimenticati, raccontate attraverso foto (bellissime!) e brevi articoli ispirati alla psicogeografia. Come spiegano gli autori del progetto, il senso delle loro derive non è nel racconto successivo dato dagli scatti o dalla narrazione dell’esperienza, ma nell’esperienza stessa. Così come accadeva in origine con i situazionisti. La deriva è un esercizio del qui ed ora, al di là e al di fuori della successiva rappresentazione (grafica, narrativa, artistica o fotografica che sia).
- Pergine. Derive urbane in Valsugana. Si tratta di un vero e proprio Festival (il più grande del Trentino) dedicato agli spettacoli di piazza, organizzati dal basso e ispirati al concetto di “città ludica” dei situazionisti.
- Le derive urbane e la fotografia a Milano. Numerosi sono i laboratori di fotografia ispirati alla deriva. Lo scopo è la ricerca di luoghi periferici, ricchi di detriti cittadini, di “futuri in abbandono” (l’espressione è di Robert Smithson, The Monuments of Passaic, 1967) come cantieri, discariche, buchi architettonici da fotografare.
- Le derive urbane su Loquis sono alla base di un podcast di Valeria Biotti che racconta con ironia la città di Roma nei suoi luoghi secondari, non monumentali.
Conclusioni mon amour
Lo diciamo subito.
Stiamo progettando un ciclo di derive situazioniste di gruppo che riguardino la nostra provincia. Pensiamo che un approccio del genere possa aiutarci a rafforzare il legame con i luoghi che abitualmente viviamo e raccontiamo. Ma ancora di più, come ci insegna il saggio di Paolo Maria Clemente, reputiamo la deriva urbana uno strumento utile ad afferrare il sentimento di provincia. Un afflato che ci sforziamo di raccontare con i nostri articoli, le fotografie e le storie ma che di fatto sfugge nella sua essenza profonda.
Per il momento ci esercitiamo in solitario, lanciandoci in una deriva non appena abbiamo un momento libero. È un vero e proprio allenamento grazie al quale stiamo diventando sensibili di fronte ai segni che la città ci lascia. Ma anche un gioco che ci riempie di leggerezza. Ci regaliamo infatti la grazia che certe improvvise apparizioni schiudono ai nostri sensi. Come il retro della cattedrale a ridosso del burrone, spuntato all’improvviso dietro un muro scalcinato a cui non avevo mai fatto caso. O la collina investita da un cono mutevole di luce in un giorno di nuvole e vento.
A breve inizieremo a raccogliere adesioni e a progettare delle uscite in provincia di Bari.
Che ne pensate? Se siete interessati fatecelo sapere nei commenti.
