Resto qui – Marco Balzano: la nostra recensione nasce dall’amaro in bocca che le storie di ordinaria ingiustizia lasciano sempre. Soprattutto quando passano sotto silenzio. Avete mai visto il campanile che spunta dalle acque del lago di Resia? Quello che per molti è un potente attrattore turistico o – come si dice adesso – un luogo “instagrammabile” è stato in realtà teatro di un’assurda violenza. Sommersa e dolorosa come i borghi che l’acqua del lago ha inghiottito.
Il romanzo che analizziamo oggi ci porta in una provincia di confine, alle radici dell’Ortles, nella Val Venosta. Dove l’Italia ha nostalgia della Mitteleuropa e abbraccia il tedesco come lingua del cuore.
Andiamo nel Sud Tirol. A scavare in una ferita.
Marco Balzano con “Resto qui” ci racconta l’ennesimo esempio di abuso ai danni di un luogo. E lo fa attraverso i suoi personaggi: Trina ed Erich. Figli di un’Italia che si sente poco italiana e che difende la cultura tirolese resistendo. Dapprima ai fascisti che impongono una cieca italianizzazione. Poi ai nazisti e alla follia della guerra. In ultimo, agli ingegneri della Montecatini. Che giungono come nuovi conquistatori. Come gnomi laboriosi, senz’anima. A costruire una diga che per i borghi di Curon e Resia sarà fatale.
E no, non abbiamo fatto spoiler, state tranquilli, perché il romanzo è prima di tutto la storia (bella) di Trina che attraversa la vita e le sue battaglie.

Scheda
Titolo: Resto qui
Autore: Marco Balzano
Casa Editrice: Einaudi
Collana: Super ET
Anno di pubblicazione: 2018
Pagine: 192
Prezzo: 11,50 £
Resto qui – Marco Balzano: i personaggi e i luoghi
I personaggi e i luoghi del romanzo “Resto qui” sono in osmosi. Si specchiano gli uni negli altri. Le ferite inferte ai luoghi sono ferite inferte ai personaggi. E la decisione di andare o restare per i protagonisti ha a che fare con l’identità profonda. Vediamo insieme perché.
I personaggi del romanzo
La protagonista del romanzo è Trina che ne è anche la narratrice. Il suo è il racconto di una vita. Dal momento del diploma, che coincide con l’ascesa del fascismo, sino alla costruzione della diga. Passando dagli anni bui della guerra e della miseria. Trina è una donna che attraversa dolori, sia personali che collettivi, concedendosi poco spazio per vacillare.
Trina è solida. Oggi useremmo la parola resiliente, ma a lei non piacerebbe. Assomiglia alle montagne che contornano il suo paese, e in cui si rifugia nei momenti più drammatici. Aggrappata alle radici – che non sono italiane e non sono austriache – difende la propria lingua e la propria cultura. In lei rivive la complessità dell’identità tirolese, l’orgoglio delle minoranze inascoltate.
Accanto a lei, come comprimario, c’è Erich – il marito – che Trina ama di un amore senza tentennamenti, da cui ricava energia. Il personaggio di Erich è tutto nella frase che dà il titolo al romanzo: resto qui. Da ciò scaturisce infatti la sua strenua battaglia contro la diga: una lotta destinata a fallire, ma combattuta comunque. Con coerenza e determinazione. Erich è una figura poetica. Un uomo che parla poco, che pensa molto, che sogna con eleganza. Come mostrano i disegni che schizza sul suo diario.
E Il nemico? È la Montecatini, incarnata dal suo rappresentante a Curon: l’ingegnere. Un uomo che inizia e finisce sul suo cappello e sugli occhiali dietro cui si nasconde. Un antagonista che non alza la voce, circondato da una prolifica schiera di operai-schiavi, meri esecutori di un lavoro che li abbrutisce. Ingranaggi dell’azienda lontana, di un potere forte. Emblema di una violenza che non si sporca le mani, di una modernità miope e senza coscienza civica.
I luoghi del romanzo
La Valle di Curon è prima di tutto un lago a cui si torna spesso nella narrazione. Un prato su cui la giovane Trina e le amiche scambiano sogni e paure all’indomani del diploma. Un paese col suo campanile e il parroco dissidente. L’Ortles che fa la guardia ai boschi. E tutte le altre montagne coi loro anfratti dove Trina ed Erich cercano rifugio nelle ore più buie della guerra. Infine, un pugno di antichi masi, testimoni di cose buone e tradizioni. Di una cultura rurale e pastorale, destinata a sparire.
Nessun idillio, però. Marco Balzano non nasconde la durezza della vita di pastori e allevatori. Ne mostra anzi la complessità. Eppure negli occhi di Trina ed Erich anche la fatica è bella. Il posto dove entrambi sono nati non può essere barattato con nessun’altra comoda, modernissima città. Fino alla fine.

Su questo antico scenario incombe come un ciclone la diga mostruosa. Un cantiere che sventra, trivella, inonda e alla fine seppellisce la vita ordinaria e quotidiana di un’intera comunità.
Si scattano le foto con il campanile della chiesa alle spalle e fanno tutti lo stesso sorriso deficiente. Come se sotto l’acqua non ci fossero le radici dei vecchi larici, le fondamenta delle nostre case, la piazza dove ci radunavamo. Come se la storia non fosse esistita.
E poi? Tocca a voi scoprirlo leggendo il romanzo.
Resto qui – Marco Balzano: la struttura narrativa e lo stile
Il romanzo si divide in tre parti – gli anni, fuggire e l’acqua – a loro volta suddivise in brevi capitoli senza titolo. Si presenta come una lunga lettera o forse le pagine di un diario che Trina scrive alla figlia lontana. Una scrittura pacata che prosegue a ritmo disteso senza impennarsi mai in un eccesso di pathos. I sentimenti, forti e profondi, che pure ci sono, non hanno bisogno di essere gridati. Lo stile narrativo, infatti, si sposa benissimo con la psicologia del personaggio.
Trina è una donna che agisce e che non si piange addosso. Quando racconta non ha tempo per i sentimentalismi, le sue emozioni si fanno cose e azioni. Le vediamo e le tocchiamo.
L’italiano qui in Sudtirolo era una lingua esotica, che si sentiva da qualche grammofono o quando arrivava un venditore della Vallarsa che risaliva il Trentino per andare a commerciare in Austria
Della scrittura di Marco Balzano ci è piaciuto il senso della misura, la semplicità. La capacità di parlare con voce femminile in tutta naturalezza, senza stereotipi né dissonanze. Abbiamo apprezzato le descrizioni che non sono mai fini a se stesse ma perfettamente incastonate alle vicende dei personaggi. E anche se lo scrittore non è originario della Val Venosta riesce perfettamente a comunicarci l’Amor Loci dei suoi personaggi, il loro radicamento.
Conclusioni mon amour
Alla fine di questa lettura ci siamo chiesti che cosa resti oggi del senso di straniamento che gli Altoatesini provarono quando, all’indomani della prima guerra mondiale, si ritrovarono italiani senza esserlo.
“Resto qui” di Marco Balzano è una lettura che, nel suo complesso, ci ha lasciato moltissimi interrogativi. È come se qualche filo narrativo fosse rimasto sospeso, non dipanato fino in fondo. E magari non è del tutto un male perché, così facendo, l’autore ci ha costretto a pensare. Anche dopo aver chiuso l’ultima pagina ci siamo ritrovati a immaginare, a problematizzare. In qualche modo a far rivivere Trina ed Erich nella nostra testa.
Questo romanzo ci ha condotto in luoghi che raccontano una marginalità non solo spaziale ma anche culturale. Ci è piaciuto molto immergerci in una provincia alpina – da noi lontanissima – fuori dalla prospettiva del turismo che spesso ne addolcisce le ferite. E fa del campanile semisommerso uno sfondo da selfie selvaggio. Lo scopo della rubrica Letteratura e Cinema del resto è farci viaggiare nelle storie. Perché per conoscere davvero i luoghi non basta prendere un aereo, puntare delle coordinate sulla cartina. Viaggiare molto spesso è andare a fondo. A scovare sentimenti, sedimenti, memorie, strade interrotte, nuove prospettive. Perciò lo consigliamo a chi ama mettersi in ascolto.
Voto: otto e mezzo.
Che ne pensate? Fatecelo sapere nei commenti e, se lo avete letto, diteci se questo romanzo vi è piaciuto.

E’ un romanzo toccante, e’ attuale, la storia si ripete
Esatto, spesso purtroppo