Da Bari a Bitetto sulla via Peuceta ma “a modo nostro”. Alla scoperta della Puglia di provincia, tra luci e ombre, procedendo con lentezza (e qualche scorciatoia) nella piana degli ulivi e delle chiese di campagna.
Come promesso, abbiamo percorso la prima tappa di questo itinerario che fa parte del Cammino Materano (per saperne di più e leggete i nostri articoli sulla Via Peuceta e sulla Via dei Sassi) per potervela raccontare. Lo abbiamo fatto adattando l’esperienza di “viandanza” alle capacità dei nostri bimbi di quattro e due anni. E alla loro indole impetuosa. In realtà, non abbiamo camminato per tutti i 17 km come viandanti puri, ma ci siamo spostati alternando lunghe passeggiate a tragitti in auto. Spesso abbiamo aggiunto deviazioni non previste e qualche sosta. E non abbiamo visitato la città di Bari. Insomma, è stata una libera interpretazione dell’itinerario originale, ma ci ha permesso di scoprire una Puglia a noi sconosciuta. Vivendo, seppur per brevi tratti, la meraviglia e la fatica di un cammino vero e proprio.

Da Bari a Bitetto: Santa Maria della Grotta
Con la guida ufficiale in mano e il Gps attivo siamo partiti dalle periferie di Bari fra snodi di tangenziale e primi campi incolti. A caccia del Santuario di Santa Maria della Grotta, proprio alle porte della città. A 1 km dalla Statale 16, uscita Santa Caterina. A pochi passi dal traffico, dalle brutture che i suburbi inevitabilmente portano con sé. È stata una partenza in salita. Scorgevamo il campanile del santuario, ma sotto di noi, sul ciglio della strada, si ammassava la spazzatura – un grande divano, stracci, mattoni rotti. Dopo una curva, al riparo di un vecchio ombrellone, una giovane prostituta fissava il guardrail. Ahi, ahi, abbiamo pensato, non è un buon biglietto da visita. Eppure il complesso religioso, nel suo recinto sulle pendici di una lama, ci è sembrato davvero un’oasi di pace. Col suo profilo bianco che spiccava nel verde rigoglioso degli ulivi.
La storia
La sua storia comincia nell’VIII secolo quando era solo una chiesa rupestre, rifugio di monaci basiliani. Tre secoli più tardi vi si è insediata un’abbazia benedettina che è diventata meta di pellegrinaggi e tappa per i viandanti e i Crociati diretti in Terra Santa. Oggi è sede dei Padri Rogazionisti che ne hanno curato i restauri dopo un lunghissimo periodo di decadenza.

La cappella nello speco
Il luogo più suggestivo del santuario è senza dubbio la cappella nello speco. Una grotta antichissima in penombra, che trasmette senso di raccoglimento e mistero. Abbiamo ammirato splendidi affreschi bizantini illuminati da suggestivi faretti e una pietà seicentesca a tutto tondo che sembrava incastonata nella roccia. Sotto il pavimento, come è frequente nelle vecchie chiese, vi erano delle tombe tra cui quella di San Corrado che proprio in questo santuario ha trascorso parte della sua vita in eremitaggio. Una tomba senza spoglie in realtà, perché le ossa furono trafugate e oggi si trovano a Molfetta. Non è stato facile mantenere il silenzio con la nostra ciurma al completo, perciò abbiamo accelerato sulla visita e ci siamo rimessi in marcia.
Da Bari a Bitetto: Balsignano
La strada per Balsignano è stretta, tortuosa, non del tutto asfaltata. Ci siamo ritrovati con l’auto quasi schiacciata fra i muretti a secco quando sulla nostra sinistra ci è apparsa una villa gigantesca dal cui cancello si affacciavano curiosi un paio di lama. Che ci fanno qui dei lama? Eravamo sconcertati. Ci sembrava di vivere l’esperienza di Troisi e Benigni nel film “Non ci resta che piangere”. Come se fossimo piombati d’improvviso non in un’altra epoca ma in un’altra latitudine. Sotto cieli australi. In realtà, non abbiamo chiarito il mistero di questo zoo esotico, ma abbiamo tirato dritto. E siamo giunti di fronte a un’altra meraviglia: il Casale di Balsignano. Uno straordinario sito archeologico medievale perduto nelle campagne di Modugno. Un posto davvero lontano da tutto, nel rigoglio degli ulivi e di una splendida giornata d’estate.
Le mura esterne e il “castello”
Balsignano era un insediamento rurale, autosufficiente e ricco, attivo dal X al XVI secolo, recuperato solo di recente. Noi adulti abbiamo pagato un biglietto di 5 euro, i bambini nulla. Ci siamo lanciati nella perlustrazione delle fortificazioni esterne nelle quali si aprivano a intervalli regolari torrette con feritoie e tombe e i basamenti della porta monumentale. Intanto un contadino potava gli ulivi presenti all’interno del complesso che anora oggi continua a produrre olio come mille anni fa. La visita del “castello” è stata una vera e propria caccia al tesoro: la nostra figlia maggiore cercava, tra terrore e desiderio, uno scheletro. E lo abbiamo trovato, sebbene solo su di un pannello esplicativo. Sì, perché a Balsignano di recente sono state rinvenute tombe con un ricco corredo funerario e con le ossa al completo di una donna.
Il percorso nel casale è affascinante anche per i bambini, ma bisogna stare attenti alle scale L’eleganza di un antico fregio. Il portale si apre sulla piana degli ulivi Le scale recuperate sono ripidissime. Non le abbiamo utilizzate. Per i bimbi non erano sicure La Chiesa di San Felice era un tempo l’unico elemento riconoscibile del casale di Balsignano
Le chiesette
Ai bambini il sistema di sale e passerelle è piaciuto molto. Noi però siamo stati molto attenti perché alcune scalette originarie assai ripide e senza alcuna transenna avrebbero potuto rappresentare per loro un pericolo. Abbiamo poi esplorato un paio di chiesette che erano parte della cittadella. La chiesa di Santa Maria con interessanti affreschi bizantineggianti. E la chiesa di San Felice, fuori dall’area del castello, che è in realtà la somma di due chiese incastrate l’una nell’altra. Per lungo tempo è stata proprio quest’ultima il simbolo stesso del casale perché meglio conservata rispetto a tutto il resto. Ma ciò che ci ha affascinato ancora di più è stato sapere che giacciono sotto terra ancora tantissimi tesori legati all’area del casale. Nuove storie da raccontare che ci aspettano …
Balsignano: un luogo magico, fermo nel tempo
Abbiamo fatto fatica a lasciare Balsignano. C’era tutto. Bellezza. Storia. La frescura degli ulivi. La comodità dei muretti. Personale accogliente e preparato. Abbiamo comprato una guida e ci siamo rimessi in cammino.
Da Bari a Bitetto: siamo arrivati a Bitetto
Prima di proseguire per Bitetto abbiamo deviato per Modugno, per una sosta non compresa nell’itinerario ufficiale. Cercavamo un piatto di orecchiette al sugo – che poi è il tipico menù baby dei ristoranti pugliesi – per i nostri piccoli. Seguendo le indicazioni della guida di Balsignano, ci siamo ritrovati nel centro storico di Modugno, tra piazzette in penombra e balconi con ringhiere in ferro battuto. La pausa pranzo è durata un paio d’ore. Fra degustazioni di vini e formaggi che ci hanno fatto sentire davvero poco pellegrini e molto goderecci.
Lo spirito della viandanza però ci ha chiamato a raccolta e con un gelato in mano abbiamo ripreso la strada per Bitetto. Abbiamo lasciato le auto alle porte del paese. All’ombra degli ulivi e abbiamo provato a raggiungere il centro a piedi confortati dal maestrale che spegnava la calura del pomeriggio.
La Cattedrale
Bitetto è stata una sorpresa. Pur essendo pugliesi non la conoscevamo. Ma quanta meraviglia nei nostri occhi di fronte alla cupola maiolicata della Cattedrale che occhieggiava al di là della porta medievale. La Cattedrale risalente al 1335, intitolata a San Michele Arcangelo, aveva una facciata non meno spettacolare della cupola. Straordinario esempio di romanico pugliese. Mostrava un rosone ricamato, tre bifore che richiamano le tre navate interne e il portale principale istoriato fittamente in bassorilievo. Un vero e proprio gioiello di arte medievale che mescola motivi ornamentali a storie bibliche. Peccato solo per le tante automobili parcheggiate tutt’intorno che ne snaturavano la poesia e la maestosità. Tra vicoli, archi e bambini da tenere a bada abbiamo visto parte del centro storico che, purtroppo, non era del tutto pedonale.
La facciata della Cattedrale è un esempio prezioso di romanico pugliese Merletti su pietra calcarea: gioiello dell’arte medievale La cupola maiolicata la vedi a distanza. Gialla e blu. Magnifica
La Veterana
Non molto distante, ma fuori dalle mura e dal centro storico, abbiamo scoperto la chiesetta medievale di Santa Maria la Veterana. Il più antico edificio di culto del paese era immerso nel sole e nel silenzio del pomeriggio, chiuso. Ne abbiamo potuto ammirare solo la facciata scabra e il massiccio campanile, e ricavarne l’impressione di essere tornati indietro nel tempo.

San Giacomo da Bitetto
Chiuso era pure, data l’ora, il convento di San Giacomo da Bitetto con la sua chiesa annessa, dalla facciata barocca . Ci siamo riposati all’ombra sulle panchine nel sagrato e sbirciato, oltre i cancelli, una bella Via Crucis scandita dagli alberi e dai cespugli. Stanchi ce ne siamo tornati alla nostra auto attraversando il paese. Donne bionde arrossate dal sole lavavano i pavimenti davanti alla loro casa, i bar avevano le saracinesche a metà, un grande trattore percorreva lentamente la via principale. Bitetto si presentava come un centro agricolo, uno spaccato di provincia vera, laterale e quotidiana.
La chiesetta di San Giacomo ha una facciata barocca Stazioni di una via crucis che costeggiano il convento
Conclusioni mon amour
Spostarsi da Bari a Bitetto sulla via Peuceta così come lo abbiamo fatto noi – un po’ con l’auto, un po’ a piedi – potrebbe far storcere il naso ai puristi. Ai viandanti veri. Lo sappiamo, una via la si percorre sentendo la strada sotto i piedi, con i suoi accidenti, le consistenze, le pendenze. Sappiamo che significa combattere con la fatica e con le vesciche per godere in ultimo, come fosse un traguardo, della tappa raggiunta e di un meritatissimo ristoro.
Tuttavia vogliamo difendere la nostra scelta perché ci ha dato la possibilità di seguire un itinerario, tutto di provincia, tutto di pancia, che diversamente non avremmo considerato. È vero, non abbiamo usato lo zaino del pellegrino, ma zainetti da merenda. Non ci siamo fatti mancare la mappa, ma più volte l’abbiamo tradita. Forse siamo stati un po’pigri, forse un po’borghesi. Consigliamo tuttavia il nostro metodo a chi come noi non può permettersi il cammino nella sua integralità. O perché il proprio stato fisico non glielo consente o perché, come noi, ha dei bambini piccoli e vuole educarli (ed educarsi) pian piano alla viandanza.

Noi continueremo a percorrere e a raccontare in questo modo le successive tappe della via Peuceta accettando i nostri ritmi e i nostri limiti e insegnando progressivamente a Micaela e ad Angelo Alessio il valore della strada e dei passi, la pazienza e la fatica.
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