La casa rossa di Alberobello (Ba), a 3 Km dalla cittadina patrimonio dell’Unesco, può essere considerata un vero e proprio luogo della memoria. Abbiamo deciso di raccontarlo perché fa parte di quella rete di ferite che la provincia italiana spesso si porta appresso. Non tutti lo sanno, ma anche in Puglia ci sono stati campi di internamento. Luoghi legati alle oscure vicende della seconda guerra mondiale e alla persecuzione degli ebrei. Tra questi c’è appunto la Casa Rossa, un’ex-masseria che per dieci anni fu utilizzata per la concentrazione e la prigionia. Dapprima di ebrei, inglesi e stranieri. Poi di fascisti. E infine di donne “perdute”.
Un’umanità dolente e variamente perseguitata.
Oggi la Casa Rossa è semi-abbandonata, benché non siano mancati nel tempo i progetti e le iniziative volte a recuperarla. Sembra difficile riabilitare questo posto. È come se fosse in atto una sorta di rimozione collettiva. Intanto non è semplice entrarci. Non è un luogo turistico. Non c’è agibilità. Negli anni però è stata più volte aperta alle scolaresche in occasione della Giornata della Memoria.
C’è tuttavia una buona notizia: esiste una Fondazione che ha preso a cuore le sorti del sito e ne sta curando progetti di valorizzazione e rinascita. Nel nostro articolo vi racconteremo la nostra esperienza, perché sì, ci siamo entrati. In occasione di un corso di aggiornamento promosso dall’Università di Bari. Un’esperienza lontana, che risale al 2014, ma fresca ancora fra i ricordi perché intensa.

Un po’ di storia
La casa fu costruita nel secondo Ottocento da un ricco sacerdote, Francesco Gigante. In origine si chiamava, infatti, Masseria Gigante. Egli ne fece un istituto agrario e come tale funzionò dal 1887 al 1939, potendo contare tutt’intorno su dieci ettari di terreni coltivabili. Sulla porta d’ingresso si conserva tuttora la data di fondazione della scuola.
Ma le cose cambiarono sotto il fascismo. La casa fu requisita e trasformata in un campo di internamento. La presenza dei campi circostanti la rendevano un posto adatto al lavoro forzato. Dal 1940 al 1943 vi furono rinchiusi 18 inglesi, ebrei stranieri – soprattutto croati dell’ex-Jugoslavia- ed ebrei italiani. Fra di loro si trovarono alcuni artisti e musicisti ed è interessante consultarne le biografie.
Dal 1943 al 1946, in un contesto politico capovolto, vi furono internati i fascisti stessi. E poi, dalla nascita della Repubblica fino al 1949, toccò alle donne straniere provenienti da tutta l’Europa: ex-collaborazioniste, prostitute, donne con fragilità psichiche, donne senza documenti. E spesso anche i loro bambini.
Successivamente il sito fu utilizzato per la rieducazione dei minori fino al 1970. Seguì poi un lungo periodo di abbandono fino ai primi anni Duemila quando fu dichiarata (finalmente) bene di interesse storico – artistico.
La Casa Rossa ebbe tante funzioni: fu campo di internamento, concentramento, prigionia, transito, confino. Oggi è al centro di progetti che vorrebbero trasformarla in un museo della memoria e in un contenitore culturale. Ma per il momento resta in uno strano limbo, come sospesa. Ad accogliere, in una sorta di contrappasso, gli assalti dei vandali, i graffiti sulle pareti, le erbe infestanti tra le crepe e i basoli del cortile interno.
Casa rossa di Alberobello: la nostra visita
La Casa Rossa ci apparve su una collina nel suo rosso pompeiano (che nel Sud-barese è tipico delle ville e delle masserie ottocentesche) scolorito dalle intemperie. Giunti lì per un corso di aggiornamento, eravamo in tanti. Una folla vociante, più in vena di una scampagnata che di una lezione di storia. Francesco Terzulli, autore de La casa rossa, ci avrebbe fatto da guida, circondato da un drappello di gatti, i veri padroni del luogo. Tacemmo infine. L’ingresso nella casa fece calare su di noi una compostezza dignitosa, una spugnosa malinconia.
La casa si articola su tre piani e comprende circa trenta ambienti. Al piano terra vi è un atrio con le volte a botte. Da una porta sul fondo si accede al corridoio su cui si aprono le stanze. Di qui è possibile raggiungere un cortile interno e la scala che conduce al piano superiore. Anche qui troviamo un corridoio con le volte a botte su cui si aprono le stanze in cui dormivano i prigionieri. Nel seminterrato si conserva, invece, parte di una Balilla che apparteneva probabilmente al direttore del campo. Completano la struttura un gruppetto di trulli che versano in cattivo stato di conservazione. Ma soprattutto una cappella, come è tipico delle masserie pugliesi.
E poi…
Ci lasciarono girovagare da soli per le stanze e i corridoi. Ci colpirono le cementine impolverate, spesso divelte. Scarti di neoclassicismo rurale che facevano a pugni con le storie di chi vi era stato trattenuto a forza. Porte senza vetri e scritte vandaliche facevano il resto: calava su di noi un senso di desolato abbandono. Contavamo le stanze, le macerie. I corridoi ci sembravano infinti. Il freddo che i prigionieri patirono scendeva dai muri scrostati, dall’umido addensato sulle pareti.
L’azzurro della cappella ci sembrò quasi un miracolo. L’arte, in fondo, rappresenta sempre una forma di resistenza. Una ricerca di senso anche nei luoghi dove il senso manca.
La piccola cappella presenta un ciclo di affreschi realizzati con materiali poverissimi da Victor Tschernon, profugo lituano, rinchiuso nella casa rossa. Alcuni rappresentano le storie di San Francesco e Santa Chiara. Furono molti gli artisti che passarono dal campo della Casa Rossa: pittori, musicisti, architetti, ingegneri. Offrivano la loro opera agli abitanti del posto in cambio di cibo o indumenti. Nel corso della Giornata della Memoria qui si celebra una messa commemorativa.
Il luogo, pur legato a eventi dolorosi e poco edificanti, vorrebbe diventare il simbolo di un impegno interculturale e di una ricerca di riscatto. Ci riuscirà?
Scopriamo insieme quali progetti e quali eventi sono stati messi in cantiere.
La Casa Rossa di Alberobello: progetti ed eventi
Nel 2018 la Casa Rossa di Alberobello è stata scenario per la settima edizione della manifestazione Apulia Land Festival. In questa occasione molti artisti hanno realizzato nei campi di pertinenza della struttura delle opere di Land Art, ossia opere legate alla terra ed effimere. Le loro creazioni hanno abbellito il luogo finché non sono state naturalmente distrutte dall’azione degli agenti atmosferici.
Ogni estate, inoltre, nei dieci ettari circostanti Luca De Felice e l’Associazione Sylva Tours and Didatics mettono in scena lo spettacolo della notte dei briganti. Il ricco fondatore della casa, Gigante, si ritiene fosse infatti colluso col brigantaggio locale.
La casa rossa è iscritta ai luoghi del FAI. Segno che la volontà di recuperarla è forte. Vi è poi soprattutto la Fondazione Casa Rossa che sta avviando progetti che ne facciano:
- un museo della memoria
- uno spazio espositivo
- sale convegni
- uno spazio per la didattica
A tale scopo è in atto una campagna di crowfunding.
Come raggiungere la Casa Rossa di Alberobello
La casa non è visitabile in sicurezza perché al momento non è agibile. Non lo era, in realtà, neppure quando l’abbiamo visitata noi. Speriamo che in futuro le cose cambino. Intanto vi diamo comunque le indicazioni per raggiungerla perché anche la visita esterna può essere significativa.
Ci troviamo a 3 km dalla città di Alberobello in direzione Mottola. La masseria si trova in Contrada Albero della Croce, un territorio al confine fra tre province: Bari, Brindisi e Taranto. Può essere raggiunta anche a piedi percorrendo via Mottola.
Alberobello è ben collegata a Bari, sede aeroportuale, dalle ferrovie del Sud Est o da numerosi autobus. Per chi si sposta in auto, da Bari bisogna imboccare la Statale 16 e, all’altezza di Monopoli, imboccare l’uscita per Alberobello. La salita in collina vi offrirà un belvedere panoramico … ma anche numerose curve.

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Conclusioni mon amour
Il nostro viaggio nell’Italia di provincia non è sempre e solo una scanzonata escursione da turisti. Per raccontare la provincia molto spesso bisogna toccare le sue ferite. Fermarsi, interrogarsi. Anche nel cuore della Valle d’Itria, fra borghi ameni e paesaggi ricchi di fascino, è possibile trovare traccia di un passato doloroso che si vorrebbe cancellare. Di quella banalità del male di cui parla Hannah Arendt nel suo celebre saggio. I luoghi della memoria schiudono in sé testimonianze di un tempo amaro. E, come insegna la storia della Casa Rossa di Alberobello, la prima reazione che si ha di fronte ad essi è la rimozione. Far finta che non ci siano. Poi però subentra un bisogno altrettanto forte di darvi un senso. Di farne non solo un monito o un monumento, ma anche un luogo da cui possa nascere qualcosa.
Noi ci auguriamo davvero che la Casa Rossa diventi una fucina di cultura. Che lo splendore della sua cappella venga condiviso anche con viaggiatori e studiosi. Che questo luogo trovi finalmente pace e riscatto.