Eccolo, rosso intenso, rosso vino, striato d’esili listarelle di grasso, morbido al palato. È il Capocollo di Martina Franca: che sapore ha? Sapore di Valle d’Itria e non è retorica, ma il frutto di una lavorazione precisa che non può prescindere dalla terra che lo produce.
Delicatamente speziato, leggera affumicatura, il capocollo di Martina Franca profuma di fragno, mallo di mandorla, timo e altri odori legnosi propri della macchia. Lo sentite? È un sapore elegante e complesso che ci stupisce fino alla fine, quando rilascia una traccia acidula di vino. Ed è proprio il matrimonio con il vino locale, il Bianco DOC “Locorotondo” o il “Martina”, e la nota profumata di fragno, una quercia che cresce solo nella Puglia centrale, a rendere davvero speciale questo insaccato. Radicato in un luogo irripetibile e capace di raccontarlo.
Il capocollo corrisponde al salume che, nel Centro e nel Nord Italia, viene chiamato coppa o lonza di maiale. Deriva infatti dalla parte compresa fra il collo e il costato. La sua lavorazione tipica risponde oggi a un disciplinare che lo rende un prodotto tutelato dal Presidio Slow Food e preservato nella sua dimensione artigianale e di pregio.
Noi siamo due buongustai, che è un modo elegante per dire che ci piace mangiare. Abbiamo scoperto il capocollo di Martina Franca molto prima che diventasse famoso a livello nazionale e che la chiocciolina del logo Slow Food si diffondesse sulle locandine del cibo di strada o nei menù delle trattorie locali. Ci riporta alle salumerie frequentate nelle nostre gite a Martina Franca da adolescenti, a certi panini che traboccavano di affettato e latticini. Molto prima che lo street food diventasse un affare da turisti, il capocollo rappresentava una merenda da ghiottoni.
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Capocollo di Martina Franca: la storia
Nel corso del 1700 il capocollo di Martina Franca era già noto nel Regno di Napoli, ma non veniva commercializzato. Restava confinato in una dimensione casereccia. Questa situazione si è perpetuata almeno sino agli anni Ottanta del Novecento.
A ben guardare, però, la storia del capocollo affonda le sue radici molto prima del XVIII secolo. E il perché è legato alla sua lavorazione. Non si dà, infatti, il capocollo di Martina Franca senza il legno di fragno che serve ad aromatizzarlo con la sua affumicatura leggera. Il nome ufficiale di questa quercia è la Quercus Trojana perché originaria della Troade. Tuttavia, dopo l’ultima glaciazione la specie è sopravvissuta solo nella Puglia centrale grazie a un clima caratterizzato da inverni freddi e secchi. La città di Martina, in particolare, sorge in una posizione che la vede equidistante dai due mari che bagnano la Puglia e a circa 430 mt sul livello del mare. Il vento perenne rappresenta uno degli elementi favorevoli alla vita del fragno.
Con i Longobardi si è, poi, diffuso invece l’allevamento dei maiali e la città di Martina Franca nei secoli si è specializzata nella lavorazione delle loro carni. I macellai martinesi erano spesso chiamati in tutto il Salento proprio perché rinomati.
Ma torniamo al capocollo. Nel 2000 Carlo Petrini, fondatore del movimento Slow Food, lo scopre e da allora il salume è diventato famoso e apprezzato sia in Italia che all’estero.
Dove e come si produce il Capocollo di Martina Franca
Il capocollo di Martina Franca si produce nel territorio di Martina Franca e in quello di Locorotondo e Cisternino. Un’area al confine con tre province (Taranto, Bari e Brindisi) che coincide in parte con la Valle d’Itria. I maiali da cui si ricava il salume vengono allevati allo stato semi-brado e nutriti con cereali e leguminose locali. Perché vengano macellati, devono raggiungere un peso di 180 Kg e questo avviene con lentezza secondo un ciclo naturale.
La lavorazione comincia con il taglio del pezzo, la pulizia e la sagomatura. I pezzi vengono poi salati per 15-20 giorni, quindi vengono lavorati con una mistura di vincotto (mosto cotto e vino di vitigni locali e altre spezie). A questo punto le carni vengono insaccate in budelli naturali e avvolti in un panno di lino o cotone. Inizia così l’affumicatura in appositi camini che conferisce al capocollo il suo profumo tipo: quello del legno di fragno, del mallo di mandorle, alloro, timo e altre erbe di macchia. Un tempo l’affumicatura avveniva riempiendo di legna il pavimento e facendo in modo che bruciasse costantemente senza fare fiamma, a mo’ di brace. In fase di lavorazione non sono previsti additivi.
Si consuma dopo una stagionatura di almeno sei mesi. . Più essa è lunga ovviamente, più il salume sarà pregiato. In ogni caso non supera l’anno. Affinché il salume sia riconosciuto dal Presidio Slow Food, i produttori devono attenersi a un preciso disciplinare e non tralasciare nessuno di questi passaggi.
Dove si può acquistare il capocollo di Martina Franca
Se siete interessati all’acquisto del capocollo di Martina Franca, vi lasciamo un link che rinvia ai produttori riconosciuti dal Presidio Slow Food. Di ciascuno troverete l’indirizzo per poter compare i salumi in loco (noi vi consigliamo spassionatamente la visita della Valle d’Itria) oppure direttamente dal sito: così potrete avere un prodotto di qualità anche se siete lontani.
Noi, in particolare, abbiamo acquistato il capocollo di Martina Franca dallo shop on line del salumificio di Giuseppe Santoro. La spedizione è stata velocissima (circa due giorni) e ci ha garantito una preziosa confezione regalo. Fra i numerosissimi prodotti e le diverse pezzature, abbiamo scelto Es Capocollo, un pezzo pregiato di 1,6 Kg realizzato con il vino Es prodotto da Gianfranco Fino. Es è il Primitivo di Manduria più famoso al mondo.
Qual è la particolarità di questo capocollo? Ha una stagionatura di almeno nove mesi, si produce solo a settembre e in 500 pezzi numerati. Lo abbiamo ricevuto in una scatola di legno che ne riportava il numero e con il biglietto di auguri che avevamo commissionato.
Possiamo raccontarlo, ormai, Es Capocollo è stato il regalo che io (Anna) e i bambini abbiamo fatto a Francesco per il suo onomastico. Un regalo che ha apprezzato molto, anche se si è subito rassegnato a condividerlo con noi tutti alla prima occasione. Sì, lo confesso, non è stato un regalo del tutto disinteressato…

Il capocollo si deve conservare in un luogo fresco e asciutto e va consumato entro sei mesi dalla data di confezionamento. Ecco, con noi difficilmente sopravvivrà sei mesi!
Il Capocollo di Martina Franca in tavola: ricetta per un aperitivo Slow
Il capocollo, nel dialetto locale chèpecùedde, da qualche anno è il protagonista del cibo di strada così come dei taglieri che bracerie e osterie tradizionali propongono come antipasto. Ed è così che vogliamo consigliarvelo. In abbinamento ad altri prodotti pugliesi di cui vi abbiamo già parlato: il pallone di Gravina e il pane di Altamura DOP. Affettatelo e presentatelo con dei formaggi locali: pallone o caciocavallo podolico.

E visto che siamo in autunno, non fatevi mancare dei cardoncelli trifolati e leggermente piccanti, olive fritte e una composta di peperoncini dolci a pezzettini. Sarà un modo molto gustoso di dare inizio al pranzo. Oppure, se lo preferite, un aperitivo “che ti abbraccia lo stomaco” , come si dice dalle nostre parti, se lo degusterete insieme a un Locorotondo Doc o a un Primitivo di Manduria.
Che ne pensate?
Conclusioni mon amour
Quanto ci piace parlare di cibo! Quasi quanto gustarlo. È il nostro modo di raccontare la provincia passando attraverso cose genuine e tradizioni. In particolare, il capocollo di Martina Franca ha per noi il sapore delle uscite domenicali, delle escursioni in Valle d’Itria per borghi e masserie. O anche dei picnic fra i boschi della zona dove spesso lo abbiamo gustato, distesi sull’erba, in panini talmente traboccanti che ogni morso era un’impresa.
Da diversi anni tutti i borghi della Valle d’Itria hanno attirato l’attenzione di un turismo nazionale e internazionale interessato alla lentezza. Seguire le tracce dei prodotti tradizionali è parte fondamentale di questa esperienza immersiva, che vi consigliamo. Ci piacerebbe leggere le vostre storie di viaggio e di degustazione, magari per confrontare impressioni e colori. Per confondere memorie e bellezze.
Non è forse questo il piacere più sublime di un viaggio?
