Amarcord significa “io mi ricordo” nel dialetto romagnolo. È una parola bellissima che racconta non solo la nostalgia ma anche e soprattutto la bellezza della nostalgia. Oggi la usiamo come sinonimo di ricordo e non solo in italiano. La sentiamo vibrare su corde a minore e ci piace perché capace di rievocare una quotidianità frammista di ironia e tenerezza, una visione poetica di paese. Amarcord è un neologismo che nasce dal titolo di uno dei più famosi film di Federico Fellini, autobiografico nelle suggestioni e negli aneddoti narrati. Un capolavoro che ci ha lasciato una teoria di personaggi indimenticabili e che ha contribuito a costruire l’immaginario della provincia italiana. Con le sue luci e le sue ombre. Dall’ignoranza bigotta alla fascinazione esercitata dalle radici. Dalla bellezza degli angoli di paese alla chiusura d’orizzonti.
Vogliamo partire proprio da qui per spiegare in che cosa consista il sentimento di provincia. Innanzi tutto bisogna dire che la provincia molto spesso non è solo un luogo ma anche un tempo, il Novecento. E il film di Federico Fellini lo rappresenta appieno. Amarcord viene girato nel 1973, ma è ambientato nella Rimini degli anni Trenta, ai tempi del fascismo. Porta in scena una provincia in cui ancora oggi potremmo riconoscerci. Con la sua ignoranza e la sua goffaggine, ma anche con i suoi sogni semplici, fumosi e genuini.
Il Borgo
Al centro della storia di Amarcord c’è un intero paese, Borgo. In esso confluiscono tutti i borghi d’Italia, anche se nelle intenzioni di Fellini c’era la volontà di ricostruire il borgo di San Giuliano o il quartiere di Santarcangelo di Romagna a Rimini. Così come li aveva vissuti in gioventù. La comunità e i suoi riti – il folklore, le parate fasciste, la Mille Miglia – prendono corpo sotto gli occhi dell’adolescente Titta. E ne diventano il suo paesaggio memoriale fatto di aneddoti, di giornate memorabili, di personaggi giganteschi (per lui e per noi). La tabaccaia col suo enorme seno. La parrucchiera da tutti chiamata “Gradisca”. L’avvocato. Il matto. Il motociclista. Volpina la sciocca. La stessa famiglia di Titta è una galleria di personaggi molto vivaci: dal padre, antifascista e anarchico, a sua madre Miranda in perenne conflitto con lui, allo zio Patacca che è un parassita, al nonno gaudente.
Sulle prime Fellini avrebbe voluto intitolare il suo film proprio E’ Borg, solo dopo scelse il nome di Amarcord (se volete approfondire potete consultare questo approfondimento sul film). Fu girato interamente a Cinecittà con molti elementi che ricordavano la Rimini del regista e molti altri inventati. Egli desiderava infatti sia ricostruire un tempo e uno spazio realmente vissuti che creare la distanza. Un’indeterminatezza che è propria delle fiabe o dei miti. Così è anche la provincia da lui rappresentata, un luogo della memoria ma anche un luogo della fantasia. Un simbolo e al contempo lo spaccato di un’epoca. Un affresco legato al ventennio fascista e un racconto universale sempre valido.
Per ricostruire la trama dettagliata e l’intero cast del film vi rimandiamo all’enciclopedia del cinema “Treccani”, qui vogliamo parlare piuttosto delle sue implicazioni col tema che dà il nome al nostro blog.
Amarcord e la provincia italiana
Ancora oggi la rappresentazione felliniana della provincia italiana trova riscontri nel nostro modo di pensare alla provincia. Un paese di provincia passa attraverso dei luoghi ben precisi racchiusi in un perimetro ristretto. C’è la piazza, il monumento ai caduti, la chiesa col campanile e le campane, la tabaccheria, il parrucchiere o il barbiere. E ci sono i pettegolezzi, le chiacchiere, i sogni di fuga, un’adolescenza in gruppetti che si incontra al muretto o “al solito posto” prima di spiccare il volo. Ci sono i notabili. Le mode che arrivano in ritardo. Una costellazione di famiglie in cui incastrare la storia di ciascuno, quasi che l’individualità, fuori dal contesto di appartenenza, avesse meno valore. Le famiglie sono le coordinate imprescindibili all’ interno delle quali si colloca la storia di ciascuno. Inevitabile perciò il condizionamento esercitato. Come appare chiaro anche nel film e nello stesso personaggio di Titta.

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Pensare alla provincia oggi dà origine a due atteggiamenti molto diversi:
- il disprezzo per il provincialismo
- la nostalgia struggente per la dimensione di paese che va perdendosi.
Chi parla della provincia obbedisce a uno dei due atteggiamenti. C’è chi la rifugge considerandola un orizzonte limitato e pieno di pregiudizi, ignoranza, arretratezza, mancanza di opportunità. C’è chi la rimpiange come piccolo mondo antico portatore di valori, di autenticità, di sapienza tradizionale. In entrambi i casi si obbedisce a una precisa “retorica della provincia”. Nel film di Fellini le due retoriche coesistono.
Amarcord e l’estetica della provincia
In Amarcord troviamo una vera e propria estetica della provincia che condiziona il nostro modo di leggerla visivamente e di trovarla bella. Pensiamo al fascino esercitato dalle fotografie che ritraggono botteghe e negozi con le insegne tradizionali oppure piazzette con panchine in ferro battuto. Pensiamo ai ritratti in bianco e nero o alle vedute di paese virate in seppia. E che dire del diffondersi del concetto di vintage applicato alla moda, all’arredamento, persino all’architettura? Anche in questo caso è forte la pressione esercitata dalla nostalgia e da un certo modo di immaginare il passato. Perciò il concetto stesso di provincia italiana spesso e volentieri si accompagna a quello di amarcord. Neologismo dolce che Fellini definiva un cairillon, una nenia.
E oggi? È come se in tempi moderni la provincia non trovasse ancora una rappresentazione convincente legata alla contemporaneità. Come se, fuori dalla nostalgia e dalla rievocazione dei buoni tempi andati, perdesse anche la bellezza. Senza la retorica della nostalgia infatti si parla della provincia come marginalità, come periferia degradata, come luogo dimenticato dalle istituzioni in cui ricorrono capannoni e tangenziali, fabbriche e fumi, cemento e rifiuti.
Conclusioni mon amour
Anche a noi piace pensare alla provincia come a un luogo e a un tempo da ritrovare. Riteniamo interessante scavare nell’immaginario e nelle categorie che più o meno consapevolmente attribuiamo alla provincia. La cerchiamo negli itinerari, programmati e casuali, ma anche nel cinema e nei libri. Sul nostro sito e nei nostri viaggi siamo sì guidati dalla retorica della provincia come nostalgia, ma c’è anche tanta voglia di superare le etichette e di raccontarne il presente.
Se ve li siete persi, potete leggere i nostri articoli con le recensioni de La via dei Sassi di Anfdrea Mattei e Appia di Paolo Rumiz. In entrambe le opere si ha una rappresentazione che oscilla fra l’estetica della nostalgia alla Amarcord e capacità di fotografare il presente fuori da ogni retorica.
Fateci sapere che cosa ne pensate e quanto l’immaginario fellianiano condizioni il vostro modo di guardare alla provincia,